La vigilanza dei sindaci non riguarda il “merito” della gestione
di Fabio LanduzziNei confronti del Collegio sindacale sono come noto ipotizzabili due diverse tipologie di responsabilità con riguardo all’adempimento dei propri doveri.
- La prima, cd. “esclusiva”, è quella relativa alla violazione degli obblighi di verità delle proprie attestazioni, e di conservazione del segreto sui fatti e sui documenti di cui abbia avuto conoscenza nell’espletamento del mandato. Si tratta di una responsabilità che discende da atti commissivi che causino un danno la cui esistenza ed entità deve essere provata da colui che la invoca.
- La seconda, cd. “omissiva”, è riferita a tutte le violazioni del dovere di vigilanza sugli atti compiuti dagli amministratori.
Rispetto a questo secondo profilo di responsabilità, si rammenta che ai sensi dell’art. 2403, c.c., la vigilanza a cui è chiamato il Collegio sindacale è volta in primo luogo alla verifica dell’osservanza della legge e dello statuto e al rispetto, da parte degli amministratori, dei principi di corretta amministrazione. Non può pertanto estendersi anche all’esame dell’opportunità e della convenienza delle scelte gestionali.
Il merito della gestione, ovvero il contenuto delle scelte manageriali e di conduzione dell’impresa, è retto dalla cd. business judgement rule secondo cui le operazioni gestorie compiute dagli amministratori non sono sindacabili dal Collegio sindacale. Nello stesso senso si esprime anche il Cndcec nella Norma di comportamento n. 3.3 laddove ribadisce che compete al Collegio sindacale la vigilanza del rispetto dell’obbligo di diligenza degli amministratori nell’espletamento del loro incarico, la verifica degli aspetti afferenti la legittimità delle scelte gestorie e la correttezza del procedimento decisionale adottato; questa attività non deve invece riguardare una verifica circa la convenienza e la bontà delle decisioni di gestione, in quanto trattasi questa di una competenza esclusiva degli amministratori e, se del caso, dei soci.
Il Tribunale di Roma, Ord. 20 febbraio 2012 n. 2730, afferma che “non è compito dei sindaci verificare la correttezza delle valutazioni rese dagli amministratori, ma è loro dovere verificare che le valutazioni proposte siano conformi ai criteri dettati dal Legislatore per le operazioni alle quali esse ineriscono”.
Tuttavia, nella pratica è talvolta tutt’altro che agevole, soprattutto a posteriori, tracciare un confine chiaro per stabilire là dove termina la verifica sulla legittimità della scelta gestoria, e là dove invece inizia il giudizio sul merito della stessa.
Può essere di aiuto, in questo complicato esercizio volto a distinguere fra controllo di legittimità e di merito, individuare dapprima il campo di azione dell’organo amministrativo, ossia il confine della legittima discrezionalità della scelta gestoria dell’amministratore. Uno spunto interessante viene dalla Cassazione la quale, dopo aver confermato che “non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali anche se presentano profili di alea economica superiore alla norma”, sottolinea che è altresì “valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite altrimenti imprevedibili”. Tradotto in termini operativi, l’insegnamento che si può trarre da questa sentenza è che la diligenza degli amministratori impone loro di adottare procedure idonee ad una preventiva valutazione e limitazione dei rischi a cui è comunque fisiologicamente esposta l’impresa; e, in modo speculare, la diligenza dell’organo di controllo impone ad esso di verificare che queste procedure siano idonee a prevenire, ponderare e limitare i rischi, e che le stesse siano in concreto applicate; in poche parole, si tratta di quella che una recente giurisprudenza ha definito come il termine “controllo di legalità sostanziale”, volto a verificare che le scelte gestorie degli amministratori, che di per sé potrebbero essere anche formalmente legittime, siano in concreto state assunte in modo ragionato, secondo delle adeguate procedure decisionali. Secondo una recente sentenza della Cassazione, n. 13081/2013, il Collegio sindacale è tenuto a un controllo di legalità non puramente formale ma esteso al contenuto sostanziale dell’attività sociale e dell’azione degli amministratori allo scopo di verificare che le scelte discrezionali non travalichino i limiti della buona amministrazione.