L’abuso del diritto – II parte
di Marina RomanoPietro VitaleNel precedente intervento abbiamo ricordato come dal 2 settembre 2015 i termini elusione (prima contrastata con l’articolo 37-bis DPR n. 600/1973) ed abuso (prima contrastato mediante il ricorso a principi comunitari e costituzionali di cui all’articolo 53 Costituzione) siano stati unificati e codificati dal nuovo articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. n. 212/2000), rubricato Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale.
L’articolo 1, comma 1, D.Lgs. 128/2015 ha infatti abrogato l’articolo 37-bis sostituendolo con l’articolo 10-bis avente efficacia a decorrere dal 1 ottobre 2015.
Vediamo, ora, gli ulteriori caratteri salienti della norma rispetto a quelli già considerati nel precedente contributo.
Al riguardo, si evidenzia che, finalmente, viene espressamente previsto – dal comma 4 – che resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. Pertanto, salvo rari casi, si ritiene che non configuri, ad esempio, abuso:
- l’estinzione di una società con una fusione (neutrale) anziché con la liquidazione (realizzativa). Ciò in quanto “nessuna disposizione tributaria mostra «preferenze» per l’una o per l’altra operazione; sono due operazioni messe sullo stesso piano, ancorché disciplinate da regole fiscali diverse. Affinché si configuri un abuso andrà dimostrato il vantaggio fiscale indebito concretamente conseguito e, cioè, l’aggiramento della ratio legis e dei principi dell’ordinamento” (rel. Gov. D.Lgs n. 128/2015);
- la trasformazione di una Spa in una Srl agricola che possa beneficiare della tassazione su base agraria (contra risoluzione n. 177/E/2008);
- la rateizzazione della plusvalenza ex articolo 86 TUIR;
- la scelta di aderire al consolidato fiscale o di optare per regimi di imposta sostitutiva;
- tutti quegli atti che possono mettere il contribuente in una situazione avente un regime tributario più vantaggioso rispetto a quello precedente.
Peraltro, queste conclusioni erano già possibili sulla base dei principi dettati dalla Cassazione con la sentenza n. 2578/2014. Tale elencazione non è, ovviamente esaustiva.
Dal 1 gennaio 2016 – per effetto delle modifiche apportate all’articolo 10-bis dall’articolo 7, comma 15, D.Lgs. 156/2015 – è inoltre prevista la possibilità di interpellare l’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c), dello Statuto del Contribuente, per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto. Inoltre in sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie antielusive (ad esempio come quella del riporto delle perdite in sede di fusione). Queste particolari regole procedimentali (fondate sul contradditorio con il contribuente e sulla specialità dell’atto di accertamento dell’abuso) derivano dal fatto che la figura dell’abuso è una nozione a fattispecie indefinita in quanto essa cerca di cogliere il risultato “abusivo” dell’operazione ma non cerca di descriverne le caratteristiche; ciò porta a dover valutare tali operazioni facendo ricorso non solo alla ratio della norma ma anche al buon senso.
Quanto appena riportato fa comprendere come le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Infatti, il principio di legalità penale (Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali) impone che sia il fatto sia la sanzione devono essere espressamente previsti da una norma di legge. Anche in assenza della esclusione penale prevista dal comma 13 dell’articolo 10-bis, ben potrebbe il magistrato giudicante, mandare assolto l’imputato dal reato a lui ascritto, con formula dubitativa (in dubio pro reo).
Occorre però a tali fini ben distinguere l’abuso dall’evasione (quest’ultima, diversamente dal primo, è punibile anche penalmente ai sensi del D.Lgs. 74/2000). L’abuso è fatto di operazioni volute (nel rispetto delle norme fiscali) e non celate come avviene nell’evasione, tipicamente realizzata, o con operazioni in frode alla legge, o simulate, o con l’interposizione fittizia (nell’evasione vi è infatti un mancato rispetto delle norme fiscali). Le operazioni simulate, oggettivamene e soggettivamene inesistenti, sono punite penalmente dall’articolo 3 del D.Lgs. 74/2000. È evasione occultare componenti positivi di reddito o indicare costi inesistenti, non inerenti e, in genere, è evasione quell’operazione che conduce a risultati diversi da quelli previsti dalla legge. L’evasione, inoltre, si potrebbe ben avere anche mediante alterazione della realtà, appunto, ricorrendo alla interposizione fittizia o più in generale alla simulazione.
Sul punto soccorre la giurisprudenza recente della Cassazione penale la quale – con la sentenza n. 40272 del 1° ottobre 2015 – afferma che si ha abuso del diritto-elusione fiscale “quando il comportamento elusivo del contribuente è privo di tratti riconducibili ai paradigmi penalmente rilevanti della simulazione, della falsità, o più in generale, della fraudolenza”.
L’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva mentre il contribuente avrà l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali. Ed inoltre, la condotta abusiva non può essere rilevata d’ufficio (comma 9), con la conseguenza che se l’Agenzia non sia riuscita a motivare un proprio atto impositivo con riferimenti espliciti alla disciplina dell’abuso del diritto quest’ultimo non potrà nuovamente essere ravvisato o richiamato dal giudice tributario; ciò consente di sciogliere definitivamente la controversa questione prospettata dalla Corte di Cassazione per la quale l’esistenza di condotte abusive poteva essere rilevata in qualsiasi stato e grado del processo anche d’ufficio da parte del giudice tributario, ancorché non rilevate od eccepite nell’atto impositivo della Amministrazione finanziaria.
Da ultimo si evidenzia come, in materia di abuso, si possa ricorre anche alla Corte di Giustizia in quanto la norma interna ripropone le prescrizioni.