22 Ottobre 2013

L’accertamento anticipato nello Statuto del Contribuente: scivolone della Cassazione e spregio delle regole

di Massimo Conigliaro
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Non c’è pace per i diritti dei contribuenti!

Con un’Ordinanza depositata il 18 ottobre 2013, la n.23690 (Pres. Cicala, Rel. Bognanni), la Corte di Cassazione ignora il pronunciamento delle Sezioni Unite di soli tre mesi addietro – sentenza n. 18184/2013 (Pres. Luccioli, Rel. Virgilio) – e stabilisce che la violazione dello Statuto del Contribuente in tema di accertamento anticipato non comporta l’invalidità dell’atto in quanto l’art. 12 della L. 212/2000 non prevede un’espressa sanzione di nullità per tale violazione. Si tratta di un vero e proprio scivolone, peraltro a corredo di una sentenza nella quale è stato stabilito che le garanzie previste dall’art. 12 dello Statuto non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento.

Dopo una querelle giurisprudenziale che aveva reso necessario il pronunciamento delle Sezioni Unite, il problema doveva considerarsi superato, nel rispetto del condivisibile principio che è consentito derogare ai 60 giorni intercorrenti tra la notifica del PVC e quella dell’avviso di accertamento soltanto nel caso in cui vi siano ragioni di particolare urgenza, adeguatamente motivate dall’ente impositore. Altrimenti l’atto emesso ante tempus è nullo, poiché tale termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Un principio sacrosanto, in linea con una norma inserita nello Statuto dei diritti del Contribuente a tutela del contraddittorio preventivo: 60 giorni quale spatium deliberandi per consentire al contribuente di valutare i rilievi e produrre una memoria per chiarire aspetti controversi della vicenda tributaria in contestazione; memoria – è bene ricordarlo – che l’ufficio ha l’onere di esaminare attentamente, dando atto nella parte motiva del successivo avviso di accertamento delle ragioni per le quali intende eventualmente rigettare le deduzioni difensive.

L’art. 12 della L. 212/2000 concede infatti alla parte sottoposta a verifica fiscale un termine per comunicare osservazioni e richieste al fine di garantire la possibilità di interagire con l’Amministrazione finanziaria prima che essa pervenga all’emissione di un avviso di accertamento; il mancato rispetto del termine, sacrificando un diritto riconosciuto dalla legge al contribuente, non può che comportare l’illegittimità dell’accertamento, senza bisogno di alcuna specifica previsione in proposito (così Cassazione n. 18906/2011), anche nel caso in cui l’attività espletata durante l’accesso non è da considerarsi attività di verifica, bensì di mera raccolta di informazioni al pari degli altri strumenti similari come i questionari o l’invito a produrre documenti.

Peraltro, è coerente con un principio generale del diritto amministrativo (ex pluribus Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 6405/2003) che i termini del procedimento amministrativo debbano essere considerati ordinatori qualora non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge o che la loro perentorietà “non debba necessariamente discendere dalla logica del sistema“. E nel silenzio del legislatore, il carattere perentorio di un termine può quindi essere desunto dalla ratio della norma. Così aveva già fatto la Corte di Cassazione con la sentenza 6088 del 2011 nella quale aveva statuito che il termine di cui all’art. 12, comma 7, della L. 212/2000 è inteso a garantire al contribuente la possibilità di interagire con l’amministrazione prima che essa pervenga alla emissione di un avviso di accertamento ed in tal senso il mancato rispetto del termine, sacrificando un diritto riconosciuto dalla legge al contribuente, non può che comportare l’illegittimità dell’accertamento, senza bisogno di alcuna specifica previsione in proposito. “Peraltro, in ipotesi di termine non perentorio non avrebbe senso la previsione della possibilità, contemplata nella medesima norma, di emissione di avviso prima del decorso del termine suddetto, solo in “casi di particolare e motivata urgenza”.

In considerazione del combinato disposto della legge n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e della L. 27 luglio 1990, n. 241, artt. 3 e 21-septies, è evidente lo specifico obbligo di motivare, anche sotto il profilo dell’urgenza, l’avviso di accertamento emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, da parte degli organi di controllo.

La Corte di Cassazione, in passato, aveva opportunamente precisato che la propria interpretazione poteva risultare certamente molto opinabile ma altrettanto certamente essa non è nè arbitraria nè pretestuosa; e sarà pur vero può dar luogo a risultati “fuori misura”, ma non dovrebbe essere troppo difficile, per l’amministrazione finanziaria, evitare tali risultati adeguandosi operativamente a questo più rigoroso regime. Un’affermazione forte, ma sicuramente ispirata ai tanto ricercati principi di civiltà giuridica. Già in passato si era sostenuto che nemmeno l’approssimarsi della scadenza del termine per la notifica dell’avviso di accertamento possa costituire valido motivo per una deroga alla regola dei sessanta giorni: eventuali carenze organizzative dell’Amministrazione finanziaria, che portano ad eseguire l’attività di controllo a ridosso del termine ultimo previsto dalla legge, non possono infatti essere causa di compressione dei diritti dei contribuenti, in questo caso del diritto di difesa (possibilità di presentare una memoria) sancito dalla Costituzione e ribadito dallo Statuto dei diritti del Contribuente.

La questione sembrava risolta. L’Ordinanza n. 23690 dello scorso 18 ottobre costituisce un’inaccettabile passo indietro ed una irrituale violazione del “precedente vincolante” sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18184/13.

In ogni caso, viene alla mente una pronuncia di legittimità piuttosto risalente (Cass. n. 4760/2000) ma sempre attuale, che ha affermato che “soltanto uno Stato inefficiente e autoritario può aspirare a compensare le proprie eventuali carenze organizzative con una legislazione, o una giurisprudenza, “protezionistica“, che disconosca cioè i diritti del cittadino fino a quando non siano maturi i tempi della burocrazia. Uno Stato moderno che operi secondo criteri di efficienza e di economia, non ha timore di porsi su un piede di parità con il cittadino (non più suddito), tanto da formalizzarne e tutelarne i diritti inviolabili (almeno in linea di principio) nei confronti del Fisco con un apposito Statuto …”.

In poche parole: ci sono le norme, che il Fisco si organizzi e le rispetti. Altrimenti gli atti sono nulli.