L’accertamento con adesione non andato a buon fine determina la caducazione del suo contenuto?
di Luciano SorgatoLa Corte di cassazione, con la recentissima sentenza n. 20017/2024, è stata investita della controversa questione relativa ad un verbale di contraddittorio avvenuto tra l’Ufficio e la società in sede di tentativo di accertamento con adesione, nel quale il primo riconosceva il corretto storno di una commessa di rilevante ammontare, che procedeva, però, a confermare nel successivo avviso accertamento, non essendo la procedura di definizione del rapporto tributario andata a buon fine, in quanto conclusivamente non accettata dalla società contribuente.
La questione, pur non essendo stata oggetto di scrutinio da parte del giudice di Cassazione, perché assorbita da altro motivo più liquido, richiede di essere indagata per l’importanza dei principi di governo dell’azione amministrativa (che essa coinvolge) e per la dibattuta natura che viene raccordata all’istituto dell’accertamento con adesione. In tale sede, vi è solo la possibilità di rappresentare alcuni spunti di riflessione che ritengo di far dipartire da un iniziale rilievo d’indagine che appare essere comune nelle varie opinioni della dottrina: “L’accertamento con adesione non differisce in nulla dall’ordinario accertamento racchiuso nel canonico avviso, salvo che per le sanzioni di ammontare inferiore”. Il definire si raccorda con lo scopo di prevenire l’impugnazione dell’atto impositivo, favorendo l’instaurazione di un contraddittorio con il contribuente per giungere ad una definizione concordata e preventiva del rapporto tributario (Corte costituzionale n. 140/2011).
Le dinamiche sottese “all’accertamento delle imposte con adesione del contribuente”, al pari della modalità ordinaria, non incidono sulla misura dell’imposta dovuta, per cui esso non assurge a fattispecie di disponibilità del tributo. Nel vigente quadro legislativo non esiste alcuna norma che attribuisce, a qualche ente fiscale, un corrispondente potere. Come osservato in dottrina, vi può essere attribuzione del potere di disporre del credito d’imposta nel solo caso in cui la norma preveda, come prerogativa propria dell’accertamento con adesione, la determinazione del credito tributario in misura diversa da quella che conseguirebbe all’oggettiva ricognizione del presupposto d’imposta e all’applicazione delle prescrizioni normative che ineriscono al quantum dell’obbligazione fiscale. Ma tale potestà d’ingerenza nella determinazione della fattispecie imponibile manca e, peraltro, qualora esistesse, non solo si porrebbe in odore di censurabilità costituzionale, ma si porrebbe in manifesto contrasto con le sovraordinate norme comunitarie che vietano la rinuncia all’accertamento oggettivo delle operazioni imponibili (in tal senso Corte UE 17.7.2008, causa C- 132/06).
Ora, considerando che un fatto giurdico per divenire “fattispecie imponibile tassabile” richiede un processo di qualificazione che, in dottrina, viene fatto poggiare su una triade di giudizi e precisamente un giudizio storico, un giudizio interpretativo ed un giudizio classificatorio e poiché, come già sopra rappresentato e per i motivi esposti, è opinione dottrinale comune che l’accertamento con adesione in nulla è diverso dall’accertamento ordinario, ne deriva che anche il contribuente e l’Ufficio (nell’accertamento con adesione) devono seguire il medesimo percorso di qualificazione, interpretazione e classificazione, ai fini della identificazione della “fattispecie imponibile tassabile”. Premesso che per giudizio storico si intende il giudizio sull’esistenza della norma e del fatto concreto al quale la norma può rendersi applicabile. Per giudizio interpretativo si intende il giudizio addizionale a mezzo del quale si accerta il significato del testo della norma; per la dottrina, con il giudizio interpretativo si individua il senso della norma e si costruisce la “fattispecie imponibile tassabile” come configurata dalla legge. Infine, con il giudizio classificatorio si accerta se il fatto concreto è incapsulabile nella previsione della norma (la c.d. sussunzione del fatto nella norma). Con tale ultimo scrutinio, il fatto non rimane più un mero evento storiografico, ma viene riconosciuto come esso rientri nel tipo di fatto previsto dalla norma, in aderenza al principio costituzionale della riserva di legge (articolo 23 Cost.). In altri e più sintetici termini, si individua il fatto economico, si costruisce il senso della legge ed infine si accerta se il fatto economico condivide l’essenza impositiva della legge per poterlo tassare. Tale triplice giudizio, al momento integro nella sua sequenza in quanto non ancora sostituito da alcun algoritmo di intelligenza artificiale, esclude categoricamente, quale sia il procedimento di accertamento in questione (ordinario o per adesione) ogni disponibilità dell’obbligazione tributaria (solo coordinata dagli articoli 23 e 53 Cost.). È solo la legge che regolamenta la fattispecie imponibile tassabile, all’interno della quale, nell’accertamento con adesione, le parti possono solo esprimere condivisione o separato dissenso in ordine all’esistenza del fatto e alla ricongiunzione del medesimo alla fattispecie legale d’imposizione, ma non di prestare consenso su un quantum dell’obbligazione tributaria diverso dalla misura di legge. La situazione sostanziale dell’accertamento tributario non muta, rimanendo sempre identico l’ammonatre dell’imposta dovuta in entrambe le modalità con adesione o senza, mutando solo, ma per preciso predicato normativo, la misura delle sanzioni. L’Ufficio, quindi, opera sempre nell’ambito di poteri vincolati, non disponendo di alcun potere transattivo in ordine al credito tributario.
La liquidazione di un’imposta costuisce l’epilogo del rappresentato giudizio classificatorio che conclusivamente consente di ritenere esistente la fattispecie imponibile, a cui graduare la misura del diritto erariale.
Ora, nel momento in cui in un verbale di contraddittorio avvenuto tra l’Ufficio ed il contribuente in sede di tentativo di accertamento con adesione, risulta comprovato che una determinata ripresa fiscale non partecipa, a detta valutativa del verificatore medesimo, di alcun fattispecie d’imposizione legale, sulla base di precisi argomenti di causale supporto riportati nel verbale in questione, considerando che, per i motivi sopra esposti, l’abbandono della pretesa fiscale non può che derivare, anche nell’accertamento con adesione, o dalla accertata inesistenza storica del fatto (il presupposto d’imposta) o dalla sua esclusione dal senso della legge e dalla relativa essenza impositiva perseguita con essa, o ancora dalla mancata sussunzione del fatto concreto nella norma, mancando in capo all’Ufficio qualsiasi potere dispositivo. La perseveranza del medesimo a supportare la legittimità della ripresa fiscale in sede di successiva notifica dell’atto impositivo non appare, per chi scrive, di alcuna rispondenza alle prerogative costituzionali dell’azione amministrativa. In tal senso, sembra orientata l’opinione dottrinale del Miccinesi (“Accertamento con adesione”) per il quale testualmente: “il successivo inadempimento dell’adesione non elimina ogni profilo di rilevanza dell’atto: non possono in specie essere cancellate le dichiarazioni ed i fatti riportati nell’atto, il cui contenuto si proietta tanto sul piano dell’eventuale procedura dell’accertamento, quanto su quello squisitamente processuale e, quindi, probatorio”. Nel medesimo senso anche La Rosa, per il quale il mancato pagamento non necessariamente determina la caducazione dell’atto.
È ben vero che tali Autori raccordano l’analisi ad un atto di accertamento con adesione sottoscritto dalle parti e poi caducato per effetto del mancato pagamento da parte del contribuente (mentre nel caso in esame il raccordo è solo ad un verbale di contraddittorio ugualmente sottoscritto dall’Ufficio, ma intermedio al procedimento), pur tuttavia il distinto riferimento documentale, per chi scrive, non appare rilevante, dal momento che il riconoscimento dell’inesistenza parziale dell’illecito dichiarativo accertato, deriva sempre dalla triade di giudizi sopra descritta, emendata in rispondenza alla legge a seguito del contraddittorio con il contribuente e non in virtù di un’intesa transattiva contra legem.