12 Settembre 2013

L’Agenzia apre agli insufficienti versamenti “scusabili”

di Fabio Garrini
Scarica in PDF

Con la C.M. n.27/E del 2 agosto 2013, in maniera piuttosto inattesa, l’Agenzia offre la propria interpretazione su diverse questioni riguardanti casi in cui i contribuenti si sono visti contestare dall’Amministrazione Finanziaria i versamenti d’imposta effettuati in misura carente a seguito, per lo più, di errori piuttosto veniali.

La maggiorazione per il termine lungo

Tutti i colleghi ben conoscono (anche però è stato necessario servirsene ampiamente, anche a causa dei ritardi cronici con cui negli ultimi anni sono stati messi a disposizione gli studi di settore) la possibilità di versare le imposte derivanti dalla dichiarazione annuale entro i 30 giorni successivi la scadenza naturale tramite la corresponsione di una maggiorazione piuttosto modesta, pari allo 0,4% di quando risultante dalla liquidazione del modello; detto importo è da versarsi con lo stesso codice tributo dell’imposta cui si riferisce.

Tale disposizione era però segnata da una interpretazione che da subito era parsa davvero miope da parte dell’Amministrazione Finanziaria, secondo cui dimenticare il versamento della maggiorazione comportava automaticamente l’applicazione della sanzione per omesso versamento all’intero importo dovuto. In altre parole, se dalla dichiarazione scaturisce un debito di € 100.000 e il contribuente versa tale importo oltre la data canonica (quest’anno 16 giugno o 8 luglio a seconda dei casi) ma entro i 30 giorni, l’Agenzia riteneva giustificato pretendere, non € 400 a titolo di maggiorazione, ma la sanzione integrale sull’importo, pari ad € 30.000.

Forse anche in quanto constavano le prime pronunce contrarie a tale posizione, sicuramente in ragione di un parere rilasciato dall’Avvocatura Generale dello Stato, fortunatamente con la C.M. n.27/E/13 vi è stato un deciso cambio di rotta: il versamento senza maggiorazione entro i 30 giorni successivi alla scadenza comporta per il contribuente la contestazione della sola maggiorazione (ovviamente sanzioni ed interessi calcolati su tale differenza, importi comunque davvero trascurabili).

Nella circolare in commento si precisa, peraltro, che le medesime considerazioni riguardano, oltre al saldo risultante da dichiarazione, anche il versamento del primo acconto d’imposta e il versamento del saldo IVA (che può essere versato entro il saldo delle imposte sui redditi salvo corresponsione degli interessi nella misura dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivo alla scadenza ordinaria del 16 marzo).

Errori scusabili nel ravvedimento e nella definizione degli accertamenti

Dopo aver ricordato che il giorno da cui far decorrere i termini per il ravvedimento (e dunque le diverse possibilità di riduzione delle sanzioni dovute), dipende dal termine originario scelto per il versamento da correggere, l’Agenzia si esprime su un tema di sicura operatività, quale quello riguardante gli errori dei contribuenti nel calcolo del ravvedimento operoso: in prima battuta potrebbe sembrare una questione di insignificante portata, ma in realtà non sono rare le contestazioni subite dai contribuenti per ravvedimenti insufficienti (in termini di sanzioni o interessi) anche solo di alcuni euro o addirittura di alcuni centesimi, con la conseguenza che la definizione perdeva di efficacia ed esponeva il contribuente al recupero dell’intera sanzione sull’importo (che riteneva) ravveduto.

Altra situazione davvero paradossale visto che un errore di modesta entità non dovrebbe essere punito quando è evidente la volontà del contribuente di regolarizzarsi. Anche perché in questo modo si andava ad equiparare, in termini sanzionatori, chi si era regolarizzato e aveva dimenticato qualche centesimo, a chi invece non aveva versato del tutto: entrambi risultavano, in definitiva, colpiti dalla sanzione integrale.

Anche in questo caso, la C.M. n.27/E/13 adotta una soluzione di buonsenso, affermando che nel caso in cui le sanzioni e/o gli interessi non siano commisurati all’imposta versata a titolo di ravvedimento, la definizione potrà ritenersi perfezionata con riferimento alla quota parte dell’imposta proporzionata al quantum complessivamente corrisposto a vario titolo.

La testimonianza della volontà di definire da parte del contribuente è il fatto che costui abbia versato un importo a titolo di sanzioni, utilizzando l’apposito codice tributo.

Viene osservato come ad oggi le procedure informatizzate dell’Agenzia non accolgano ancora tale interpretazione, ragion per cui la contestazione dovrà essere risolta (ahimè) recandosi presso gli Uffici (o altre forme equivalenti oggi istituite).

Peraltro occorre ricordare una precedente interpretazione dell’Agenzia del tutto in linea con la nuova posizione: nella R.M. n.67/E/11 venne chiarito che il ravvedimento di quanto originariamente e complessivamente dovuto può considerarsi perfezionato anche solo parzialmente, cioè limitatamente all’importo versato entro la scadenza del termine per il ravvedimento; il cosiddetto “ravvedimento frazionato”, che consente al contribuente di definire anche in più diverse tranche un versamento omesso.

Analogo principio di scusabilità dell’errore è stato affermato anche nel caso di insufficienti versamenti legati alla definizione di un accertamento, in particolare in merito all’acquiescenza di cui all’art.15 D.Lgs. n.218/97 (ma così anche nel caso di definizione agevolata delle sanzioni ai sensi dell’art.17 D.Lgs. n.472/97). Nel caso di errore materiale di lieve entità nel calcolo o nel versamento, la definizione si ritiene perfezionata in quanto risulta evidente la volontà del contribuente di accettare il contenuto dell’atto. Allo stesso modo (e questo lascia più sopresi, ma lo si accetta di buon grado) anche un lieve ritardo comunque consente di salvaguardare gli effetti della definizione. Nel caso di insufficiente versamento nell’ambito dell’accertamento con adesione la valutazione spetta all’Ufficio, come già affermato dalla C.M. n.65/E/01.