19 Settembre 2015

L’agricoltura sociale: tra impresa agricola e terzo settore

di Alberto Rocchi
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L’approvazione della Legge 18 agosto 2015 n.14 dà spazio nel nostro ordinamento al settore dell’agricoltura sociale, che trova una definitiva regolamentazione organica il cui completamento è tuttavia demandato a un Decreto del MIPAF da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

La normativa giunge al termine di un lungo percorso di gestazione, iniziato circa 5 anni fa con una capillare indagine conoscitiva su questo fenomeno volta all’acquisizione di dati, informazioni e valutazioni sulle iniziative avviate, sulle loro caratteristiche qualitative e quantitative e sui risultati raggiunti; a conclusione del lavoro, si evidenziava un sostanziale vuoto normativo e una serie di problemi per gli operatori del settore, sia di riconoscimento delle competenze che di creazione di soggetti con adeguata identità giuridica.

L’agricoltura sociale si può definire come una pluralità di esperienze, non riconducibili a un modello unitario, in cui vengono in vari modi integrate nell’attività agricola, iniziative di carattere socio sanitario, educativo, di formazione e inserimento lavorativo, di ricreazione, dirette in particolare a fasce di popolazione svantaggiate o a rischio di marginalizzazione. Di fatto l’agricoltura ha la capacità di produrre non solo cibo, servizi e beni valutabili economicamente, ma anche una ben definita “utilità sociale”: dalla tutela dell’ambiente e del paesaggio, al presidio e salvaguardia del territorio fino al potenziale inclusivo, finanche “terapeutico”, che la cura della terra e degli animali possono indurre in particolari soggetti.

Volendo sistematizzare, si possono individuare tre modelli teorici:

  • imprese agricole rivolte al mercato (esempio: aziende “produttive” che nel contempo forniscono accompagnamento e formazione all’inserimento lavorativo di soggetti a bassa contrattualità);
  • strutture terapeutiche e riabilitative (esempio: aziende che erogano servizi “strutturati” quali l’ippoterapia);
  • modelli di apertura al sistema sociale nei quali l’agricoltura è il tramite per la fornitura di servizi alla persona (fattorie didattiche, impegni per gli anziani, ecc…).

A fronte di questa complessa realtà come sopra classificata, gli strumenti normativi disponibili prima dell’approvazione della legge, si mostravano insufficienti. Nonostante che il modello dell’”agricoltura multifunzionale” fosse stato da tempo codificato nella legge di orientamento, le declinazioni normative disponibili, non erano in grado di racchiudere tutte le possibili manifestazioni del fenomeno dell’agricoltura sociale. Questa infatti non esaurisce il suo perimetro nella sfera delle attività connesse, con riferimento alle quali può funzionare in quei casi in cui l’offerta di servizi da parte delle aziende agricole comporta il conseguimento di un corrispettivo (esempio, terapie assistite con animali), ma non nelle fattispecie in cui il beneficio che l’agricoltura produce è l’effetto indiretto dell’esercizio ordinario dell’attività (esempio, inserimento di soggetti svantaggiati).

La legge approvata lo scorso 18 agosto, recepisce queste istanze fornendo un quadro generale che si inserisce su un doppio binario: da un lato vengono definiti “i soggetti”; dall’altro “le attività”.

Sotto il primo profilo, a norma dell’art.2 c.1, soggetti attivi dell’agricoltura sociale sono gli imprenditori agricoli di cui all’art.2135 C.C., sotto qualsiasi forma singola o associata; ad essi, vengono aggiunte le cooperative sociali nei limiti in cui il fatturato derivante dalle attività agricole sia prevalente. Nel caso in cui tale fatturato sia superiore al 30% di quello complessivo, le medesime cooperative sociali sono considerate operatori dell’agricoltura sociale in misura corrispondente al fatturato agricolo. Ne consegue che una cooperativa sociale potrà essere considerata soggetto attivo dell’agricoltura sociale:

  • se è essa stessa imprenditore agricolo di cui all’art.2135 C.C.;
  • se ha un fatturato prevalentemente derivante dall’esercizio delle attività agricole, pur non essendo imprenditore agricolo ai sensi dell’art.2135 C.C.;
  • limitatamente alla parte di fatturato derivante dall’attività agricola, ove questo sia superiore al 30% del fatturato complessivo.

Da ciò deriva che la cooperativa sociale che ha un fatturato “agricolo” inferiore al 30% di quello complessivo, non potrà mai essere considerato soggetto attivo dell’agricoltura sociale.

Dal lato delle attività, la norma sembra recepire pressoché integralmente, le indicazioni fornite dalla Commissione a conclusione dell’indagine conoscitiva cui sopra si faceva cenno. Infatti, i tre modelli teorici entro cui, pur con i dovuti distinguo, possono essere inserite le attività del settore, trovano spazio anche nella enunciazione normativa che definisce come proprie dell’agricoltura sociale le attività dirette a realizzare:

  • inserimento socio lavorativo di soggetti svantaggiati;
  • attività e azioni di inclusione sociale e lavorativa mediante l’utilizzo di risorse materiali e immateriali dell’agricoltura;
  • prestazioni e sevizi di affiancamento a supporto di terapie medico riabilitative;
  • progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare nonché alla diffusione e conoscenza del territorio.

Coerentemente con quanto sopra detto, il comma 2 sancisce che le attività che possono generare prestazioni dietro pagamento di servizi, costituiscono attività connesse ai sensi dell’art.2135 C.C.. In pratica, l’imprenditore agricolo interessato ad ampliare la propria attività nell’ambito dell’agricoltura sociale, ha a disposizione due riferimenti normativi. Il primo, è l’art.2135 C.C., come integrato dalla L.141/2015, che estende le attività connesse ai servizi resi (a pagamento) in senso lato all’individuo, alla famiglia e alla comunità, con iniziative sostitutive o parallele a interventi di welfare. La norma non pone alcun limite di prevalenza quantitativa all’esercizio di queste attività, che restano assorbite all’interno del perimetro dell’art.2135 C.C. se rese mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura. Il secondo riferimento, è per tutte quelle attività che generano benefici “indiretti” che possono rientrare sia nel concetto più generico di multifunzionalità di cui all’art.3 del D.Lgs.228/2001, sia nell’art.1 c.1 lett.a) della L.141/2015 che circoscrive il più preciso ambito dell’agricoltura sociale.

È importante sottolineare infine quanto previsto dal comma 5 del medesimo art.1: le attività sopra elencate possono essere svolte in associazione con tutti i soggetti del terzo settore, dalle imprese sociali alle associazioni di promozione sociale, ferma restando la disciplina e le agevolazioni applicabili a ciascuno dei soggetti richiamati. Il legislatore, sembra voler offrire uno strumento in più rappresentato dalla possibilità di istituire una forma di collaborazione (al momento, non definita) tra l’impresa agricola e l’ente no profit al fine di meglio espletare tali attività che pertanto potrebbero essere svolte:

  • direttamente da un imprenditore agricolo, singolo o associato;
  • direttamente da un Ente no profit, che assume la qualifica di imprenditore agricolo: in questo caso, dovrebbero valere a fini fiscali le norme sull’agricoltura;
  • da un imprenditore agricolo (singolo o associato) in associazione con un Ente no profit, che mantiene la propria disciplina fiscale.