L’Amministratore unico di società che si assume come dipendente
di Fabio LanduzziIl Tribunale di Genova, con la sentenza n. 299 del 17.03.2014, ha annullato il contratto di lavoro subordinato con cui l’amministratore unico di una S.r.l. si era autoassunto come lavoratore dipendente della società con la qualifica di quadro.
Il caso risolto dalla sentenza citata era scaturito dal contratto che l’amministratore unico della società aveva stipulato con se stesso con l’effetto di auto-assumersi con la qualifica di lavoratore dipendente della stessa impresa. L’atto era però stato stipulato senza autorizzazione della società e senza che nel testo del medesimo comparisse alcuna espressa esclusione dal conflitto di interessi in cui si trovava la persona dell’amministratore unico.
La società si era quindi opposta al pagamento dei compensi previsti dal contratto di lavoro subordinato, domandando altresì l’annullamento del contratto; la persona, da parte sua, aveva domandato ed ottenuto un decreto ingiuntivo volto al pagamento delle retribuzioni non corrispostegli.
La fattispecie ricade evidentemente nell’ambito della disciplina regolata dall’art. 1395, Cod. Civ., ovvero riguardante il caso del contratto che il rappresentante conclude con se stesso; la norma ne prevede l’annullabilità salvo che il rappresentato abbia autorizzato specificamente l’atto, oppure che il contenuto dello stesso sia tale da escludere l’esistenza di un conflitto di interessi.
La giurisprudenza di Cassazione (sentenza n. 27783/2008) già aveva affrontato il tema sancendo che, nel caso del contratto concluso dall’amministratore unico della società di capitali non è applicabile l’art. 2391 Cod. Civ., che riguarda il conflitto di interessi degli amministratori nell’ipotesi in cui sussiste un Consiglio di amministrazione della società. Diversamente, quando, come nel caso in esame, non vi è scissione tra il potere rappresentativo della volontà della società ed il potere deliberativo, trova applicazione la disciplina generale sulla rappresentanza (artt.1387 e ss. Cod. Civ.) e quella contenuta agli artt. 1394 e 1395, Cod. Civ.. Tali norme stabiliscono che:
- il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col rappresentato può essere annullato se il conflitto era conoscibile dal terzo;
- è annullabile il contratto concluso dal rappresentante con se stesso, in proprio o quale rappresentante di un’altra parte, salvo che non vi sia stata una specifica autorizzazione ovvero che il contenuto del contratto sia stato predeterminato, in modo da escludere il conflitto.
Secondo la giurisprudenza citata, l’art. 1395, Cod. Civ. prevede una presunzione di conflitto di interessi che può essere superata esclusivamente dalla dimostrazione dell’esistenza, in via alternativa, di due condizioni: una autorizzazione specifica oppure la predeterminazione degli elementi negoziali. Entrambe richiedono un ruolo attivo e partecipe del rappresentato nella fase prodromica alla conclusione dell’atto.
Poiché nel caso di specie é indubbio che il contratto di lavoro dipendente sia stato stipulato dallo stesso soggetto nella duplice veste di amministratore della società committente e di lavoratore dipendente, si verifica proprio l’ipotesi delineata dall’art. 1395 Cod. Civ.; non risultando né la predeterminazione del contratto e né una autorizzazione specifica, la censura prospettata dalla società circa l’esistenza di un rapporto di incompatibilità effettiva e concreta fra le esigenze del rappresentato (la società) e quelle personali del rappresentante (l’amministratore), è stata condivisa dal Giudice.
Il rappresentante – che è il soggetto onerato della prova – non ha infatti dimostrato che il rappresentato aveva fornito una consapevole autorizzazione al compimento dell’atto. Di conseguenza, il contratto di lavoro dipendente che era stato stipulato dall’amministratore unico della S.r.l. con se stesso è stato annullato, in quanto viziato ai sensi del citato art. 1395 Cod. Civ..
Tuttavia, il Tribunale non ha disposto la restituzione da parte dell’amministratore-dipendente delle retribuzioni percepite nel corso del proprio lavoro subordinato, in quanto le prestazioni risultavano effettivamente eseguite. Di conseguenza, rifacendosi a quanto disposto dall’art. 2126 Cod. Civ., poiché l’annullamento del contratto di lavoro non ha effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, le retribuzioni risultavano effettivamente dovute dalla società sino a quando il contratto non è venuto meno per via del suo annullamento.