Nel caso esaminato, si pone la questione se la messa a disposizione di programmi per elaboratore destinati ad essere utilizzati su dispositivi mobili, quali smartphone, tablet, etc., rientri nello schema del mandato senza rappresentanza, con la conseguenza che l’app store debba essere considerato prestatore di servizi per le applicazioni mobili che gli sviluppatori mettono a disposizione, per il suo tramite, ai destinatari finali.
Tale questione è rilevante sotto diversi punti di vista.
In primo luogo, l’app store, se considerato prestatore di servizi nei confronti dei destinatari finali, è responsabile della corretta determinazione, riscossione e versamento dell’Iva sulle operazioni in cui agisce in qualità di intermediario. In secondo luogo, in base al contesto normativo in vigore prima del 1º gennaio 2015, che è quello applicabile nel procedimento principale, è la figura del prestatore che determina il luogo della prestazione di servizi nell’ipotesi in cui il destinatario del servizio non sia un soggetto passivo. Inoltre, dal momento che i servizi resi tramite mezzi elettronici hanno, per loro natura, una dimensione potenzialmente transfrontaliera, il luogo della prestazione determina anche la competenza fiscale degli Stati membri e l’aliquota d’imposta applicabile.
L’avvocato generale ha ritenuto che la “finzione giuridica” dell’articolo 28, Direttiva 2006/112/CE, trovi applicazione in caso di fornitura, prima del 1º gennaio 2015, per via elettronica, di prestazioni di servizi consistenti nella messa a disposizione delle applicazioni mobili, nonché di servizi aggiuntivi, per il tramite di un app store.
In proposito, la mancata conoscenza dell’identità del mandante non costituisce una condizione per l’applicazione di tale previsione e, quindi, il fatto che, nel caso di specie, lo sviluppatore dell’applicazione sia noto ai destinatari finali non esclude la possibilità di considerare l’app store quale mandatario che agisce secondo le modalità previste dall’articolo 28, Direttiva 2006/112/CE.
L’unico requisito imposto da tale disposizione è che il mandatario agisca per conto di terzi, ma in nome proprio e, sotto questo profilo, se fosse l’app store a concludere i contratti con i destinatari delle applicazioni mobili e ad essere responsabile del loro funzionamento, agirebbe per conto proprio e non per conto degli sviluppatori.
L’agire in nome proprio dell’app store, che costituisce il requisito indispensabile della finzione giuridica, consiste nel fatto che la procedura, mediante la quale i destinatari ottengono l’accesso alle applicazioni, si svolge interamente all’interno dell’applicazione dell’app store, senza reindirizzamento ad un sito web o ad altre fonti appartenenti agli sviluppatori delle singole applicazioni. Anche le condizioni per ottenere tale accesso sono stabilite, in modo uniforme, per tutte le applicazioni ivi disponibili, dall’app store. Inoltre, l’app store non fornisce l’accesso a qualsiasi applicazione, ma solo a quelle destinate ad un determinato sistema operativo e che sono state verificate in termini di interoperabilità con tale sistema e di sicurezza.
L’app store agisce in nome proprio anche dal punto di vista dei destinatari del servizio.
La messa a disposizione di applicazioni mobili è fornita interamente tramite mezzi elettronici e in forma dematerializzata. Il destinatario può, quindi, sapere di ricevere l’applicazione di uno specifico sviluppatore, ma non è a conoscenza degli accordi tra lo sviluppatore e l’app store, né del percorso attraverso il quale viene concesso l’accesso all’applicazione o ai servizi aggiuntivi. Esso, infatti, non ordina l’applicazione dallo sviluppatore, ma la scarica direttamente dall’app store, dove lo sviluppatore deve averla precedentemente caricata. L’applicazione è pronta per l’uso immediatamente dopo essere stata scaricata dall’app store, indipendentemente dalla conferma dell’acquisto e da qualsiasi azione successiva da parte dello sviluppatore. Per il destinatario, il fornitore diretto dell’applicazione è, quindi, l’app store, che inoltre addebita una commissione per la messa a disposizione dell’applicazione e rilascia la conferma della conclusione del contratto.
Dal 1° gennaio 2015, l’articolo 9-bis, Regolamento di esecuzione n. 2011/282/UE ha introdotto la presunzione secondo cui l’app store – che funge da intermediario nella messa a disposizione delle applicazioni mobili – agisce in nome proprio, ma per conto degli sviluppatori.
Come osservato dall’avvocato generale, la Corte europea, nella sentenza Fenix International (causa C-695/20), ha dichiarato che tale presunzione non modifica la natura della previsione dell’articolo 28, Direttiva 2006/112/CE, ma si limita, integrandola, a concretizzarla nel contesto specifico dei servizi resi tramite mezzi elettronici.
In considerazione della funzione della norma regolamentare deve, quindi, escludersi la possibilità di ritenere che, per i predetti servizi, la finzione giuridica non sia applicabile nel contesto normativo in vigore prima del 1° gennaio 2025.
L’ulteriore analisi compiuta dall’avvocato UE si sposta sull’individuazione del luogo della prestazione di servizi eseguita – in virtù della “fictio iuris” di cui all’articolo 28, Direttiva 2006/112/CE – dallo sviluppatore nei confronti dell’app store, essendo necessario stabilire se tale luogo si trovi, ai sensi dell’articolo 44, Direttiva, in Irlanda (Paese di stabilimento della società che gestisce l’app store) oppure, ai sensi dell’articolo 45 della stessa Direttiva, in Germania (Paese di stabilimento dello sviluppatore).
La prestazione che, per finzione giuridica, è resa dallo sviluppatore nei confronti dell’app store è territorialmente rilevante nel Paese di stabilimento del gestore dell’app store, in base alla regola generale prevista dall’articolo 44 della Direttiva 2006/112/CE per i servizi c.d. “generici” nei rapporti “B2B”.
Rispetto alla normativa applicabile anteriormente al 1° gennaio 2015, anche la prestazione effettiva, fornita dall’app store ai destinatari, che per lo più non sono soggetti passivi Iva, è territorialmente rilevante nel Paese di stabilimento del gestore dell’app store, secondo la regola generale prevista dall’articolo 45 della Direttiva 2006/112/CE per i servizi “generici” nei rapporti “B2C”.
Infine, l’Avvocato generale ha escluso che lo sviluppatore, per conto del quale agisce l’app store, sia tenuto al pagamento dell’Iva nel caso in cui quest’ultimo lo abbia designato, con il suo consenso, come prestatore del servizio e abbia indicato l’importo dell’Iva dovuta nelle conferme d’acquisto trasmesse tramite mezzi elettronici ai destinatari finali.
In sostanza, nella situazione descritta non trova applicazione l’articolo 203 della Direttiva 2006/112/CE, secondo cui l’Iva è dovuta da colui che la indica in fattura, in quanto – secondo le indicazioni della giurisprudenza comunitaria – tale disposizione intende eliminare il rischio di perdita di gettito che può derivare dal diritto di detrazione; rischio che non ricorre nel caso di specie, in quanto i destinatari non sono soggetti passivi d’imposta e, quindi, non possono esercitare la detrazione.