L’attestatore, il punto (triste) sulla responsabilità penale
di Claudio CeradiniE’ un mondo difficile, e lo sappiamo, ma quello in cui vivono i professionisti che assumono incarichi di attestazione è decisamente pericoloso.
E’ noto come la L. 134/2012 (efficacia 11 settembre 2012) abbia introdotto il delitto di falsa attestazione (art. 236-bis L.F.). L’introduzione della norma è cosa relativamente recente, e di conseguenza l’orientamento, anche solo di merito, della giurisprudenza, è scarno e probabilmente, quanto auspicabilmente, in itinere, posto che le prime avvisaglie sono decisamente tempestose. Il comportamento sanzionato penalmente è l’inclusione nella attestazione di una qualsiasi informazione falsa, così come l’omissione di una informazione, che deve però essere rilevante, e cioè tale da rendere il quadro offerto ai creditori con la relazione di attestazione diverso dal “ragionevolmente” vero, in misura tale da poter provocare decisioni di voto altrettanto diverse. La sanzione penale, a differenza della responsabilità civile, presuppone il dolo, e quindi la consapevole intenzionalità del comportamento che non può essere solo negligente. Si tratta di un cosiddetto reato di pericolo, in cui il comportamento sanzionato è quello che consapevolmente crea una condizione, appunto, di pericolo, accettandone il rischio e le conseguenze. L’eventuale profitto ingiusto conseguito conduce ad un innalzamento delle pene, ma non è costitutivo del reato, come accadrebbe ove il dolo richiesto fosse specifico, e non generico. Medesimo effetto comporta la maturazione di un danno a carico dei creditori, per il quale il nesso causale con l’informazione falsa o con l’omissione fosse acclarato.
Abbiamo già avuto modo di riferire (Per il penale dell’attestatore, l’11 settembre 2012 non aiuta) di un primo orientamento, con cui il Tribunale di Rovereto (Sent. 12-05 del 2012) rilevò la responsabilità penale di un attestatore, per un fatto accaduto nel 2009, e quindi prima della entrata in vigore dell’art. 236-bis L.F.. Il Tribunale qualificò le funzioni dell’attestatore come valutative, della verità dei dati e della fattibilità del piano concordatario, ed anche certificative, in un certo senso, a favore dei creditori chiamati al voto in una procedura in cui al Tribunale non sarebbe ammessa alcuna valutazione di merito e nella quale il pubblico, nella fattispecie i creditori, sarebbe per legge obbligato ad avvalersi del parere dell’attestatore, che svolgerebbe per questo una funzione di pubblica utilità. Ai sensi degli artt. 481 e 359 c.p. l’attestatore, secondo il tribunale di Rovereto, rientra quindi tra le figure che, accreditate appunto di una funzione di pubblica utilità, sarebbero sanzionabili per falso ideologico, riconoscibile nella condotta materiale di chi abbia, appunto, falsamente attestato, intenzionalmente. L’art. 481 c.p. punisce con la reclusione fino ad un anno e con la multa da euro 51 ad euro 516 “chiunque nell’esercizio di una professione …. o di altro servizio di pubblica utilità, attesta falsamente …. fatti dei quali è destinato a provare la verità”. In effetti, i giudici di Rovereto tracciarono un quadro in sostanza molto simile, perlomeno per gli effetti, a quello successivamente introdotto dalla riforma. Concludemmo che appariva non dissimile, così procedendo, il comportamento punito, così come il carattere di reato di pericolo, supportato da dolo generico, ed anche e di conseguenza il perimetro della responsabilità penale dell’attestatore, di fatto estendendosi l’applicazione del nuovo regime sanzionatorio anche a fatti precedenti.
A questa prima sensazione, fastidiosa, se ne aggiunge una seconda, forse peggiore, che deriva dalla interpretazione del nuovo regime, per come emerge da una vicenda in cui il comportamento dell’attestatore, certamente sommario, non parrebbe però provvisto dei requisiti soggettivi di intenzionalità e consapevolezza necessari. Il GIP di Torino, con ordinanza del 16.07.2014, ha disposto la interdizione dall’esercizio della professione di un commercialista che, nello svolgimento di un incarico di attestazione ex art. 161, comma 3, L.F. non aveva assunto sufficienti informazioni sulla società dalla quale era pervenuta offerta irrevocabile di acquisto dell’azienda, condizionata all’omologa della proposta concordataria, secondo il più classico degli schemi per questo tipo di operazioni. L’offerta in questione, su carta non intestata e sottoscritta in modo incomprensibile, si rivelò poi del tutto inconsistente, ed avrebbe certamente richiesto un approfondimento, anche solo di buon senso, da parte dell’attestatore, prima di esprimere il proprio giudizio. Lo stesso attestatore, in apertura della propria relazione, aveva riferito di aver adottato i criteri di verifica suggeriti dal CNDCEC, estremamente puntuali e precisi. E proprio questo consente al GIP di concludere drammaticamente, perché, se tali criteri fossero stati realmente adottati, le verifiche avrebbero prodotto elementi probativi sufficienti a valutare negativamente la consistenza di quella offerta. Il giudizio positivo si basava invece “sul nulla“, non avendo l’attestatore “compiuto alcuna verifica” contando consapevolmente sulla “disattenzione” dei destinatari, che rassicurati dalla dichiarazione di adozione di criteri professionalmente adeguati, sarebbero stati tratti in inganno, consapevolmente. Il pericolo si sarebbe quindi realizzato ed il comportamento intenzionale anche.
La diligenza del comportamento, che sino a ieri costituiva l’elemento discriminante dell’adempimento contrattuale del professionista e della conseguente sua eventuale responsabilità per danni cagionati, assume quindi anche un rilievo penale, nella misura in cui il Tribunale ne tragga la convinzione che l’attestatore abbia fornito un’informazione falsa, l’adozione dei principi di controllo, o viceversa, avendoli adottati abbia omesso di utilizzarne gli elementi probativi ottenuti.
Senza minimamente voler avallare comportamenti men che diligenti nell’adempimento delle funzioni di attestazione, delicatissime e centrali, sempre più, nei progetti di risanamento, non possiamo nasconderci le difficoltà che comportano anche per il più preciso e attento dei professionisti, per tempi ed informazioni disponibili, valutazioni richieste, previsioni necessarie. Il quadro che emerge è quindi opprimente, e fa passare la voglia di attestare, ammesso che a qualcuno fosse rimasta.