8 Aprile 2014

L’attività di formazione svolta dalla Onlus va rivolta a soggetti svantaggiati

di Guido MartinelliMarta Saccaro
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La Corte di Cassazione precisa che è legittimo, per una Onlus, svolgere in via principale attività di formazione solo se questa è rivolta a “soggetti svantaggiati”. E’ questo, in estrema sintesi, il precetto contenuto nella sentenza n. 7311 del 28 marzo scorso, con la quale la Suprema corte è intervenuta a decidere in merito al caso di una Organizzazioni non lucrativa che, per l’appunto, offriva servizi di formazione alla generalità dei consociati, senza effettuare alcuna valutazione in merito alle effettive condizioni di bisogno. Secondo la Corte, tale comportamento risulta in contrasto con quanto disposto dall’art.10 del D.Lgs. n. 460/1997 che pone la formazione nella categoria di attività che, per consentire la qualifica fiscale agevolata, necessitano di una particolare condizione di svantaggio dei destinatari della stessa (sono, per cosi dire, attività “a solidarietà diretta”).

Prevede infatti il secondo comma lett. a) dell’art. 10 citato che ”si intende che vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle attività statutarie nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della promozione della cultura e dell’arte e della tutela dei diritti civili non sono rese nei confronti di soci, associati o partecipanti, nonché degli altri soggetti indicati alla lettera a) del comma 6, ma dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari”.

La nozione di “svantaggio” contenuta nell’art. 10 del D.Lgs. n. 460/1997 è stata in passato approfondita sia dalla giurisprudenza che dalla prassi amministrativa. Con la sentenza n. 3789 del 15/02/2013, ad esempio, la Corte di Cassazione aveva precisato che la nozione di “svantaggio”, inserita nella norma, individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione sociale. Questa individuazione, del resto, era già stata anticipata dal Ministero delle finanze che con la circ. n.168/E del 1998 aveva individuato i seguenti come soggetti in situazioni di svantaggio rilevanti:

  • i disabili fisici e psichici affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee;
  • i tossicodipendenti;
  • gli alcolisti;
  • gli anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico;
  • i minori abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza;
  • i profughi;
  • gli immigrati non abbienti.

Secondo la Cassazione, quindi, in considerazione del tenore della norma e della ratio solidaristica ad essa sottesa – ed in applicazione del principio di stretta interpretazione delle norme che concedono esenzioni fiscali -, lo “svantaggio” che la disposizione legislativa tende a colmare -incentivando, attraverso l’esenzione, l’opera della ONLUS – consista nella obiettiva condizione deteriore, rispetto alla generalità dei consociati, in cui si trovi, negli ambiti specifici individuati dalla norma, una particolare categoria di soggetti.

Per l’attività di formazione non c’è dubbio, quindi, che sia necessaria la destinazione della stessa a favore di soggetti in difficoltà. Potrebbe, ad esempio, integrare la fattispecie lo svolgimento di corsi di alfabetizzazione a favore di stranieri in comprovate condizioni di povertà.

La condizione di svantaggio, però, deve essere effettiva e non solo potenziale – o in via di definizione -, al fine di evitare l’estensione immotivata dell’agevolazione prevista dalla norma.

Nel caso in cui, quindi, la di formazione non sia rivolta a soggetti svantaggiati, la stessa non potrà essere considerata come attività istituzionale della Onlus. Al più, e sempre che ne ricorrano i presupposti, la stessa potrà essere considerata attività connessa a quella istituzionale svolta dalla organizzazione non lucrativa. Ciò si può verificare, ad esempio, qualora l’ente svolga attività di formazione a soggetti svantaggiati in via principale e che, in ciascun esercizio l’attività di formazione svolta nei confronti di “altri” non sia siano prevalente rispetto a quella istituzionale e che i relativi proventi non superino il 66% delle spese complessive dell’organizzazione (conformemente a quanto prevede il comma 5 dell’art.10 del D.Lgs. n.460/1997). In questa circostanza, si ricorda in conclusione, secondo quanto prevede l’art. 150 del TUIR mentre i proventi derivanti dall’esercizio delle attività connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile dell’ente (sono detassati), lo svolgimento delle attività istituzionali è, in ogni caso, decommercializzato ai fini delle imposte dirette.

Viste le rilevanti agevolazioni che, come sopra detto, coinvolgono tutta l’attività svolta dalle Onlus, è quindi inevitabile che il riconoscimento delle stesse venga subordinato al rispetto di requisiti che, come emerge dalla sentenza in commento, devono essere verificati in maniera sempre molto analitica e puntuale.