L’attività in smart working durante la pandemia “condiziona” la tassazione del reddito
di Sergio PellegrinoNel corso delle ultime settimane si sono succedute diverse risposte ad istanze di interpello relative alla tassazione del reddito di lavoro dipendente nel caso di attività lavorativa svolta “forzatamente” in smart working per effetto della pandemia: da ultima, ieri, la risposta n. 626.
L’istanza in questo caso è stata presentata da una cittadina italiana, iscritta all’AIRE e dipendente di una società lussemburghese, che si è vista “costretta” a lavorare in smart working dall’Italia proprio a causa della diffusione del Covid-19.
L’Agenzia, nel formulare la risposta, parte dalla considerazione che, nel caso delle prestazioni svolte in smart working, il luogo di svolgimento della prestazione è identificato in quello in cui il lavoratore è fisicamente presente: nel caso di specie, quindi, l’attività lavorativa si deve considerare svolta in Italia.
Laddove, come dichiarato nell’istanza, la lavoratrice sia stata comunque fiscalmente residente in Lussemburgo nel periodo di imposta 2020, va applicata la disposizione convenzionale (articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Granducato di Lussemburgo) che prevede l’assoggettamento degli emolumenti a imposizione concorrente in entrambi i Paesi.
Il reddito percepito per l’attività di lavoro dipendente svolta in Italia nel 2020 dovrà, quindi, essere tassato nel nostro Paese, in quanto luogo in cui l’attività è stata svolta, mentre lo Stato di residenza, ossia il Lussemburgo, dovrà riconoscere un corrispondente credito d’imposta per evitare la doppia imposizione.
La scorsa settimana l’Agenzia aveva affrontato una situazione speculare, esaminando nella risposta n. 621 del 23 settembre il caso di un dipendente olandese di una multinazionale italiana, che ha lavorato durante il periodo di imposta 2020 in smart working dall’Olanda, dove era rimasta la sua famiglia.
Il soggetto era stato assunto nel 2019 come dirigente presso la sede di Milano della società, beneficiando del regime degli impatriati, e la questione sottoposta all’Agenzia verteva sulla possibilità di applicare il regime di favore anche per il periodo di imposta 2020, alla luce della “straordinarietà” della situazione legata alla pandemia.
L’Agenzia delle Entrate, evidenziando come l’attività lavorativa sia stata prestata in Olanda, rilevando nel caso dello smart working, come si è detto, il luogo in cui è fisicamente presente il dipendente, ha negato la possibilità al dipendente di beneficiare del regime degli impatriati: l’agevolazione risulta infatti applicabile per i soli redditi prodotti nel territorio dello Stato (in considerazione dell’obiettivo che si è prefissato il legislatore di agevolare fiscalmente i soggetti che si trasferiscono nel nostro Paese per svolgere l’attività lavorativa).
Qualora il soggetto sia stato assoggettato a tassazione anche in Olanda per il reddito derivante dall’attività di lavoro dipendente svolto in quel Paese nel 2020, alla luce di quanto previsto dall’articolo 15 paragrafo 1 della Convenzione contro le doppie imposizioni fra Italia e Paesi Bassi, il contribuente, considerato fiscalmente residente in Italia sulla base di quanto stabilisce l’articolo 2 del Tuir, potrà fruire nel nostro Paese del credito per le imposte estere con applicazione del disposto dell’articolo 165 del Tuir.