L’autodenuncia dei capitali all’estero scalda i motori
di Nicola Fasano
In un momento in cui le aziende (e non solo) faticano a reperire liquidità e ad accedere al credito, la “voluntary disclosure” (letteralmente “volontaria rivelazione”, in senso più ampio “autodenuncia”) dei capitali illecitamente detenuti all’estero potrebbe rivelarsi una via da non sottovalutare, anche in considerazione delle prime incrinature che alcune “roccaforti” off shore del segreto bancario iniziano a mostrare.
E’ bene sgombrare il campo da ogni equivoco: non si tratta di un condono, né tanto meno di una nuova edizione dello scudo fiscale, dunque non sono previste forme di forfetizzazione delle eventuali imposte sul reddito che restano interamente dovute, né tanto meno si beneficia dell’anonimato.
Si tratta piuttosto di uno strumento con il quale si può regolarizzare la posizione nei confronti del Fisco, con la possibilità, in alcuni casi, a fronte della collaborazione offerta, di ottenere benefici anche nell’eventuale giudizio penale; la procedura potrebbe essere di particolare interesse per gli eredi, che non rispondono delle sanzioni relative alle violazioni commesse in precedenza dal de cuius.
Sicuramente la fattispecie in esame presenta un maggiore appeal ora che le sanzioni connesse al quadro RW sono state ridimensionate (la Legge n. 97/2013 le ha ridotte dal 10% al 3% o al 6% nel caso in cui le attività siano detenute in Stati “black list”) ed è stato abolito l’obbligo di monitoraggio per i trasferimenti.
L’Agenzia delle entrate peraltro, in un recente convegno tenutosi a fine settembre scorso a Pavia, ha annunciato che l’attivazione della procedura sarà subordinata alla compilazione di un apposito modello, che verrà approvato nel prossimo futuro. In tale sede, inoltre, verranno impartite le istruzioni necessarie per uniformare l’operato degli Uffici, finora non proprio inappuntabile, in materia di contestazioni sul quadro RW, soprattutto con riferimento al calcolo delle sanzioni dovute.
Al riguardo si evidenzia che, in linea di principio, gli Uffici, ai fini della definizione a 1/3 delle sanzioni, ex art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 472/97:
- tendono a non riconoscere il c.d. “cumulo giuridico” applicabile, fra l’altro, quando vi siano violazioni dello stesso tenore ripetute per più anni, secondo quanto previsto dall’art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 472/97 (che in sostanza, in tali casi, prevede l’aumento del 50% rispetto alla sanzione prevista per la violazione più grave);
- applicando invece il “cumulo materiale” ossia, semplificando, la somma delle singole sanzioni previste per ciascun anno.
In caso di violazioni che riguardano più anni è abbastanza intuitiva la differenza derivante dai due approcci.
Ora, con la tipizzazione della procedura di “voluntary disclosure” l’Agenzia potrebbe riconoscere, considerata la collaborazione del contribuente, le “eccezionali circostanze” di cui all’art. 7, comma 4 del D.Lgs. n. 472/97, che consentirebbero l’applicazione della riduzione al 50% del minimo delle sanzioni (da coordinarsi peraltro con la citata riduzione a 1/3 delle sanzioni riconosciuta ai sensi dell’art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 472/97, in caso di definizione delle sanzioni).
Seguendo questa impostazione, si potrebbero quindi regolarizzare le violazioni sul monitoraggio fiscale, in caso di capitali posseduti in “paradisi fiscali”, pagando l’1% per ciascun anno.
Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella C.M. n.25/2013, il processo della “voluntary disclosure” sarà coordinato dall’UCIFI, l’Ufficio per il contrasto delle frodi internazionali.
Va osservato che queste procedure sono promosse anche a livello OCSE (e utilizzate soprattutto nei Paesi di matrice anglosassone) che già nel settembre 2010 ha pubblicato un apposito documento (Offshore Voluntary Disclosure) dettando le linee guida che i vari Stati dovrebbero seguire per istituire tali forme di regolarizzazione, puntando ad un regime premiale che sia attrattivo nel breve periodo.
Trattasi peraltro di considerazioni riprese e approfondite dalla Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia (c.d. “Commissione Greco”) presentata lo scorso aprile, in materia del c.d. “autoriciclaggio” la quale, al fine di contrastare più in generale il reato di riciclaggio, propone:
- pur con le proprie carenze, il monitoraggio fiscale, incentrato sulle comunicazioni degli intermediari e la compilazione del quadro RW da parte dei contribuenti ed, in prospettiva,
- l’introduzione di strumenti premiali che favoriscano l’autodenuncia dei capitali all’estero con “sconti” sulle sanzioni penali e fiscali tanto più significativi quanto più solerte sia l’attivazione da parte del soggetto interessato, fermo restando l’intero ammontare delle imposte dovute e la mancata attivazione di controlli da parte del Fisco.
Non resta dunque che attendere i prossimi step per poter formulare considerazioni più approfondite su questa sorta di “ravvedimento operoso” sui capitali all’estero, non trascurando di valutare anche il ruolo (e le eventuali tutele) del professionista che assiste il contribuente nelle operazioni di disclosure.