Lavoro dipendente all’estero
di Giovanni ValcarenghiAnche nella campagna delle dichiarazioni dei redditi del periodo di imposta 2013 abbiamo ricevuto numerose sollecitazioni da parte di colleghi in merito alla tematica dei redditi di lavoro dipendente prodotti all’estero da cittadini fiscalmente residenti in Italia.
La questione si snoda su due direttrici fondamentali: da un lato cercare di comprendere se tali redditi debbano essere assoggettati a tassazione anche in Italia (oltre, ovviamente, alla imposizione già scontata all’estero) e, per altro verso, cercare di comprendere quale sia la esatta misura dell’imponibile e l’eventuale credito di imposta spettante.
In relazione alla prima questione, dando per scontato che si stia parlando di un contribuente fiscalmente residente in Italia secondo le regole dettate dall’articolo 2 del TUIR e che non si sia dinnanzi al caso dei c.d. frontalieri, vale la pena di rammentare che l’art. 15 del modello Ocse prevede la regola generalizzata secondo la quale il reddito è imponibile nello Stato in cui viene svolta l’attività lavorativa se questo coincide con il paese di residenza del lavoratore. Tuttavia, se la prestazione lavorativa viene svolta in un altro Stato contraente, le remunerazioni percepite sono ivi imponibili. Poiché non si utilizza il termine “soltanto”, di regola significa che la tassazione nel paese di residenza del contribuente non è esclusa; dunque, trattasi di caso di tassazione concorrente (ovviamente, si dovranno verificare disposizioni particolari previste dalle singole convenzioni bilaterali).
Per i distacchi di breve durata, il Modello di Convenzione ha introdotto un temperamento a tale regola, prevedendo una tassazione esclusiva nel paese di residenza del lavoratore se risultano soddisfatte contemporaneamente le seguenti condizioni:
- il beneficiario della remunerazione soggiorna nell’altro Stato per non più di 183 giorni nel corso di un periodo di dodici mesi che inizia o finisce nell’anno fiscale considerato;
- le remunerazioni sono pagate da (o per conto di) un datore di lavoro che non è residente nello Stato in cui si svolge l’attività;
- l’onere della remunerazione non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato in cui si svolge l’attività di dipendente.
Una volta compreso che la tassazione deve avvenire anche in Italia (salvo i richiamati casi particolari), va poi rammentato che l’art. 51, co. 8-bis, D.P.R. 917/1986 prevede che il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Si tratta di una norma di favore, tesa a riconoscere che lo spostamento del luogo di lavoro determina il sostenimento di particolari spese ed incomodi, così da rendere tassabile non la retribuzione effettiva, bensì una retribuzione convenzionale normalmente inferiore.
Non sempre, però, la tecnica risulta applicabile; ad esempio, con circolare 13 maggio 2011, n. 20/E è stato affermato che la mancata previsione (nel decreto ministeriale) del settore economico nel quale viene svolta l’attività da parte del dipendente costituisce motivo ostativo all’applicazione del particolare regime. Ancora, ci sentiamo di suggerire di ricorrere all’aiuto di un “tecnico” per comprendere quale sia la corretta retribuzione, in quanto appare necessario comprendere le specifiche mansioni del soggetto, individuare una retribuzione di riferimento interna, alla quale corrispondono fasce di retribuzioni convenzionali. Aggiungiamo che la recente circolare 11/E del 21 maggio scorso (paragrafo 1.5) ha confermato che il meccanismo delle retribuzioni convenzionali è applicabile anche nel caso in cui il datore di lavoro sia un soggetto non residente.
La R.M. 18.1.2002, n. 12/E ha confermato che il credito a fronte delle imposte pagate all’estero, previsto dall’art. 165 del TUIR, compete anche se il reddito imponibile in Italia è determinato in base alle retribuzioni convenzionali; ovviamente, si dovrà applicare un criterio di proporzionalità avendo riguardo alla quota parte che concorre alla formazione dell’imponibile interno.
E che influenza hanno i contributi previdenziali obbligatori eventualmente pagati all’estero dal contribuente chiamato a tassare le somme in Italia? Secondo un approccio tranciante i medesimi sarebbero esclusi da qualsiasi rilevanza (nel senso che non possono ridurre gli imponibili), nel caso in cui il parametro di riferimento fosse costituito dalle retribuzioni convenzionali. Al riguardo, tuttavia, appare possibile attribuire rilievo a tali somme inserendole nel quadro RP come oneri deducibili, anche se i medesimi sono pagati all’estero; al limite, per estrema cautela, si potrebbe sostenere una rilevanza proporzionata alla quota di reddito assoggettata ad imposizione.