Il lavoro sportivo dilettantistico e le carte federali
di Guido MartinelliNon vi è dubbio che la definizione di attività sportiva dilettantistica, in Italia, sia figlia di un gigantesco equivoco. Infatti, nella comune opinione, è considerata tale quella “non remunerativa”, ovvero quella svolta per finalità altruistiche. In realtà è tale quella svolta in settori non dichiarati professionistici dalla Federazione di appartenenza, indipendentemente che sia previsto o meno un compenso in favore di chi la svolge. Tant’è che il nuovo statuto Coni non parla più di attività dilettantistica ma si limita a distinguere l’attività professionistica da quella non professionistica.
Però, nella “convinzione” che i “non professionisti” fossero i c.d. “amateur” di decoubertiana memoria, l’attività sportiva dilettantistica è stata oggetto, fino ad oggi, di interventi legislativi tesi a ridurre, se non in alcuni casi annullare, i costi fiscali, previdenziali e assicurativi connessi ai compensi corrisposti sulle attività di questa natura. L’organizzazione sportiva doveva riuscire a giustificare e disciplinare l’erogazione di compensi ad atleti e tecnici senza far perdere, ai soggetti eroganti e riceventi, la qualifica di dilettanti. Ciò, per il comprensibile desiderio, di continuare a far godere ai propri affiliati e tesserati, dei benefici fiscali collegati a tale status.
Alcuni esempi. La Federazione italiana pallacanestro, nei propri regolamenti per il settore dilettantistico, prevede che per “i giocatori non professionisti impegnati nei campionati nazionali e regionali, nel rispetto delle norme statutarie e della vigente disciplina legislativa in materia, è esclusa ogni forma di lavoro autonomo o subordinato. Ai giocatori tesserati ed impegnati nei campionati nazionali e regionali possono essere corrisposte solo “indennità” di trasferta e rimborsi forfetari di spesa i cui importi vengono normalmente riportati nelle disposizioni organizzative annuali …”.
L’accordo quadro tra società di calcio della Lega Dilettanti e allenatori del medesimo status prevede che: “L’allenatore dà atto alla società che tutte le prestazioni derivanti dal presente accordo hanno carattere dilettantistico e perciò verranno rese senza che ciò comporti alcun vincolo di lavoro subordinato”.
La Federazione ciclistica italiana, al contrario, ha approvato un “contratto di lavoro sportivo per ciclista dilettante” la cui applicazione sta oggi incontrando numerose difficoltà. La Federazione italiana pallavolo ha inserito, nelle condizioni di ammissione al campionato di serie A1 e A2 femminili, l’obbligo del deposito, da parte dei club, in Lega, di fideiussioni a garanzia dei compensi pattuiti con le atlete.
Come si evince le Federazioni stanno scegliendo strade diversificate (e spesso complicate) per disciplinare un fenomeno che, comunque, è presente nel mondo dello sport dilettantistico: ossia un riconoscimento economico, a volte anche “importante”, erogato ad atleti o tecnici a fronte delle prestazioni da costoro rese ad un sodalizio sportivo dilettantistico. Non sarebbe stato più semplice dichiarare tutti i soggetti che percepiscono compensi come sportivi professionisti e assoggettarli alla relativa disciplina di cui alla L. 91/1981? Sicuramente corretto ma … costoso. Il problema, infatti, non è di natura giuridica, rispetto alla quale del tutto condivisibili appaiono gli sforzi per equiparare gli atleti dilettanti che percepiscono compensi ai professionisti. Questi ultimi sono inquadrati come lavoratori subordinati con i conseguenti oneri indiretti, previdenziali, assicurativi e fiscali che gravano sui loro compensi. I non professionisti non pagano, sui loro compensi, detti oneri aggiuntivi. Oneri la cui rilevanza, ove dovesse essere sostenuta, appare incompatibile con lo stato di salute economica di molte discipline di vertice non professionistiche. Pertanto, vedo solo tre strade da percorrere: la prima vede gli atleti dilettanti diventare professionisti e rinunciare al 30/40% dei loro attuali compensi per far sì che i loro club possano versare dette somme a copertura dei maggiori oneri previdenziali e assicurativi senza dichiarare fallimento; convincere gli attuali “professionisti” ad abbandonare alcune delle loro attuali garanzie cambiando la L. 91/1981; “trovare” una strada intermedia. In tutti i casi il percorso non sarà facile.
Quanto sopra riportato è un articolo scritto nel febbraio 2003. Dopo ormai quasi quattordici anni l’ho potuto riproporre senza cambiare una virgola del suo contenuto. Le problematiche di tutti coloro i quali operano professionalmente nell’ambito delle attività sportive dilettantistiche sono rimaste inalterate. I diversi tentativi di modificare la L. 91/1981 tutti arenati.
L’augurio è di non doverlo ripubblicare, inalterato, nel 2031.
Per approfondire le problematiche relative al terzo settore vi raccomandiamo il seguente master di specializzazione: