Il lavoro sportivo dilettantistico dopo le recenti novità – I° parte
di Guido MartinelliUna recentissima sentenza della sezione lavoro della Corte d’Appello di Roma (sentenza n. 2924/2018), pronunciata in udienza lo scorso 5 luglio e pubblicata il successivo giorno 20, si presenta come la prima decisione emanata, in materia di lavoro sportivo dilettantistico in favore di sodalizi non lucrativi, dopo che, il giorno 3, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giorgetti aveva annunciato l’abrogazione, con il decreto “dignità” (articolo 13, comma 1, D.L. 87/2018), delle norme della L. 205/2017 (c.d. pacchetto Lotti sullo sport) che avevano qualificato tali prestazioni quali collaborazioni coordinate e continuative, sia pure sempre riconducibili fiscalmente ai redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.
L’analisi di questa decisione ci consente di fare il punto del rapporto di lavoro sportivo dilettantistico alla luce del quadro di riferimento derivato dall’abrogazione della novella contenuta nella Legge di Bilancio 2018.
Il Giudicante di secondo grado, facendo riferimento al punto 20 del D.M. 15.03.2005 contenente l’adeguamento dei lavoratori da assicurare obbligatoriamente presso l’Enpals (oggi Inps gestione spettacolo – “impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitenss, stadi, sferisteri, capi sportivi, autodromi”) ricorda che: “….. dal tenore letterale della espressione normativa di cui al n. 20 emerge l’obbligo contributivo a carico dell’appellante nei riguardi degli istruttori di attività sportive, a prescindere dalla natura giuridica (subordinata, parasubordinata o autonoma) del rapporto di lavoro ed essendosi peraltro la stessa appellante qualificata associazione sportiva…..”.
Dopo aver ricostruito la disciplina dei compensi sportivi qualificati come redditi diversi, la Corte della Capitale ne individua i presupposti di applicabilità, sia soggettivo che oggettivo. Dato che il presupposto soggettivo deve essere individuato nel riconoscimento ai fini sportivi del soggetto erogante, tramite l’iscrizione al registro Coni, requisito pacifico nel caso di specie, viene precisato che: “il dato oggettivo è costituito, invece, dall’esclusione della natura professionale del compenso che va riscontrata allorché emergano, in via continuativa, i seguenti indici:
- l’attività, quantunque esercitata in via esclusiva né preminente, sia caratterizzata da ripetitività, regolarità, stabilità e sistematicità di comportamenti;
- la misura delle somme complessivamente percepite non abbia caratteristiche di marginalità”
Nel caso di specie, invece, l’istituto previdenziale ha dimostrato che l’attività di questi istruttori non era finalizzata allo svolgimento di alcuna manifestazione sportiva, che hanno sempre ricevuto compensi mensili con abitualità e in modo continuativo, “per cui non si può non ritenere che il lavoro effettuato dagli istruttori avesse il carattere della professionalità perché professione abituale ancorché non esclusiva di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ai sensi del d.p.r. 633/72”. Da ciò ne conseguiva il rigetto dell’appello della società sportiva e la condanna alle spese.
Quindi siamo tornati al problema di partenza. Quando e in quali circostanze potranno essere riconosciuti i c.d. compensi sportivi disciplinati dal combinato disposto di cui agli articoli 67 e 69 Tuir?
La qualificazione introdotta dall’articolo 1, comma 358, L. 205/2017 dei compensi corrisposti dalle associazioni e società sportive non lucrative con la disciplina fiscale dei redditi diversi quali collaborazioni coordinate e continuative, pur non potendosi qualificare in alcun modo quale presunzione assoluta, costitutiva, comunque, presunzione relativa.
Infatti, se pur deve essere qui ricordato il noto principio di indisponibilità della prestazione di lavoro subordinato – affermato dalla Corte costituzionale in due note pronunce degli anni ’90 e più recentemente ribadito dal giudice delle leggi (Corte costituzionale, n. 77 del 07.05.2015) – alla cui stregua non è comunque consentito al legislatore “negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato”, come ad esempio l’articolo 36 Cost. in tema di equa retribuzione, la richiamata qualificazione comunque andava a riconoscere che una prestazione lavorativa svolta in forma autonoma in favore di un sodalizio riconosciuto ai fini sportivi potesse godere della disciplina agevolata dei redditi diversi sia ai fini fiscali che previdenziali.
Non potrà più essere così.
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