Le Asd e le cessioni di azienda
di Guido MartinelliLa Corte d’Appello di Brescia, Sez. I, con la sentenza n. 266 del 25.02.2022 affronta il tema della legittimità di un contratto preliminare avente ad oggetto una “cessione d’azienda” svolgente “attività di palestra” stipulato dal legale rappresentate dell’associazione sportiva dilettantistica che la gestiva.
Il promissario acquirente aveva chiesto in primo grado, tra l’altro, la “nullità o annullamento” del contratto ritenendo l’oggetto inesistente “dal momento che l’Asd operava senza scopo di lucro ed in favore dei soli soci”.
In primo grado la domanda viene rigettata dal Tribunale di Cremona in quanto: “Il contratto preliminare di cessione di azienda evidenzia infatti la comune volontà di cedere ed acquistare una “attività di palestra” svolta grazie ad una stabile organizzazione aziendale comprensiva di: contratto di locazione (in ordine al quale venne garantito il subentro) dei vani in cui detta attività si svolgeva, mobili di arredo ed attrezzature (partitamente elencate); la pattuizione di cui al punto n. 4 del contratto (patto quinquennale di non concorrenza) dimostra che le parti, nella determinazione del prezzo, tennero anche conto del volume della clientela”.
L’insieme dei menzionati elementi palesa il comune intento (dei contraenti) di realizzare una cessione avente ad oggetto un’azienda che svolgeva attività di tipo commerciale.
Il tutto, poi, confermato da una verifica della Guardia di Finanza che evidenziava il carattere commerciale dell’attività svolta.
La domanda viene riproposta in appello e il Giudicante di secondo grado riforma le conclusioni della sentenza impugnata con motivazioni che appaiono solo in parte convincenti.
La contestazione sicuramente fondata appare essere quella che il legale rappresentante abbia agito a titolo personale, senza, come sicuramente avrebbe dovuto fare, a tal fine farsi autorizzare, stante la natura di carattere straordinario della decisione, dalla assemblea degli associati.
Ma la motivazione addotta dalla Corte appare assai discutibile: “se l’attività ceduta fosse stata imputata all’Asd, il contratto sarebbe stato nullo, atteso che l’attività ceduta (“attività di palestra”) non sarebbe stata esercitabile in forma aziendale, in quanto il soggetto gestore (l’Asd) non è imprenditore, tanto che solo di recente (cfr. D.Lgs. n. 36 del 2021) le associazioni sportive dilettantistiche sono state facultate ad assumere le vesti dell’impresa (rectius, dell’impresa sociale).”
Sarà necessario qui ricordare che l’impresa sociale è prevista da altra norma (D.Lgs. 112/2017) e che il D.Lgs. 36/2021 nulla dice in materia di esercizio di attività di impresa da parte di una associazione sportiva, prevedendo solo per le società sportive di cui al libro V del codice civile la possibilità di una parziale distribuzione di utili.
Il Tribunale di Monza, ad esempio, già nel 1955 aveva dichiarato per la prima volta il fallimento di un’associazione sportiva.
Una seconda pronuncia favorevole al fallimento dell’associazione sportiva fu quella del Tribunale di Savona, emessa il 18.01.1982, secondo il quale “le associazioni sportive non costituite in forma di società, le quali esercitino, abitualmente e sistematicamente, attività di organizzazione, allestimento, attuazione di spettacoli sportivi non meramente dilettantistici e non gratuiti, rivestono la qualità di imprenditori commerciali e sono soggette al fallimento“.
Tale tesi è stata poi definitivamente accolta anche dalla stessa Corte di Cassazione (ex pluris Corte di Cassazione, sentenza n. 6835/2014: “Lo scopo di lucro – c.d. lucro soggettivo – non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi – c.d. lucro oggettivo”).
La Corte motiva ulteriormente la sua decisione chiarendo che “dal momento che detta cessione avrebbe richiesto l’approvazione degli organi associativi e – soprattutto – avrebbe determinato la cessazione delle attività associative, che, viceversa, in base alle previsioni statutarie potrebbero cessare solo in virtù dello scioglimento in base ad una casistica in cui non è compresa la cessione delle attività a terzi”.
Afferma, infine, che la previsione di uno svolgimento di attività commerciali da parte delle associazioni sportive dilettantistiche sia rilevante ai soli fini fiscali senza che questo possa incidere sulla natura e le caratteristiche della associazione in parola.
Pertanto, la Corte accoglie e riforma l’ordinanza impugnata in primo grado.
Sicuramente fondata appare la motivazione nella parte in cui evidenzia che il legale rappresentante abbia agito a titolo personale senza le necessarie deliberazioni da parte dei competenti organi associativi.
Questo appare l’unico vizio esistente, non potendosi disconoscere nell’ambito della attività economica svolta da una associazione, sia pure senza scopo di lucro e finalizzata alla pratica sportiva dei propri associati l’esistenza di una azienda intesa come: “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio della impresa”.