11 Ottobre 2021

Le associazioni nella giurisprudenza della Corte di Cassazione – I° parte

di Biagio GiancolaGuido Martinelli
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La scheda di FISCOPRATICO

La quinta sezione della Corte di Cassazione ha, in queste ultime settimane, emanato diverse pronunce in materia di enti su base associativa.

La sentenza n. 25451 del 21.09.2021 ha preso in esame il ricorso presentato dall’ultimo legale rappresentante di una associazione sportiva dilettantistica, avverso la decisione della commissione tributaria regionale che riconosceva la responsabilità personale del Presidente, ex articolo 38 cod. civ., in merito ad un avviso di accertamento “in relazione a operazioni oggettivamente inesistenti per prestazioni pubblicitarie e sponsorizzazioni”.

Il ricorrente deduceva l’inesistenza dell’atto impositivo in quanto emesso nei confronti di soggetto che era già cessato nel momento in cui era stato notificato l’avviso di accertamento.

La Suprema Corte parte dal presupposto che l’estinzione o la cessazione dell’ente accertato non preclude alla Amministrazione finanziaria la possibilità di far valere le pretese fiscali emerse con riguardo al periodo della sua esistenza.

Ciò in quanto i termini per l’accertamento decorrono dall’anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione “sicché ove si ritenesse che l’estinzione del soggetto intervenuta nelle more fosse idonea ad impedire la ripresa, ne deriverebbe una ingiustificata riduzione dei termini in deroga delle norme in questione”.

Cessato il soggetto, l’azione accertativa deve essere rivolta solo nei confronti di coloro che si sono succeduti nella posizione che era propria dell’ente.

Secondo i giudici, l’associazione non riconosciuta si estingue immediatamente con il verificarsi di una delle cause di estinzione previste in statuto così come la liquidazione avviene secondo quanto indicato nel contratto associativo senza accedere alla procedura tipizzata dal codice civile per le associazioni riconosciute.

Ne deriva che in caso di estinzione dell’associazione non riconosciuta la pretesa può legittimamente essere fatta valere nei confronti di coloro che hanno agito in nome e per conto della associazione e, dunque, nei confronti in particolare dell’ultimo legale rappresentante della associazione stessa, destinatario di una obbligazione personale e solidale”.

La sentenza n. 25628 del 22.09.2021, invece, interviene su un accertamento dell’Ufficio, nei confronti sempre di una associazione sportiva dilettantistica dove veniva contestata, tra le altre, “l’irregolare tenuta di una contabilità separata tale da non consentire la distinzione della attività istituzionale da quella commerciale”.

Il sodalizio sportivo impugnava davanti ai giudici di legittimità una decisione della commissione regionale la quale avrebbe mal interpretato l’obbligo di tenuta di una contabilità separata, ex articolo 144, comma 2, Tuir, il quale non implica anche la tenuta di separati bilanci.

Richiamandosi ad una precedente decisione (n. 526/2021) della stessa sezione, la sentenza ricorda come la tenuta di un unico impianto contabile e di un unico piano dei conti strutturato in modo da poter individuare in ogni momento le voci destinate all’attività commerciale non sia “di ostacolo all’eventuale attività di controllo esercitata dagli organi competenti”.

La tenuta di una contabilità separata, si precisa, non prevede l’istituzione di un libro giornale e di un piano dei conti separato per ogni attività: non si dovrà confondere: “l’obbligo della tenuta della contabilità separata con l’obbligo di tenuta di distinti e completi bilanci di esercizio”.

La sentenza n. 25814 del 23.09.2021 viene emessa a fronte di un ricorso di una associazione sportiva avverso la decisione della Commissione tributaria regionale che aveva riconosciuti come indeducibili i costi sostenuti per la costruzione di un centro ippico realizzato su un terreno condotto in locazione di proprietà di due coniugi soci dell’associazione in quanto privi del requisito della inerenza.

Detto principio imponeva che l’utilità della spesa ricadesse in via esclusiva a vantaggio dell’impresa; nel caso in esame, invece, secondo i giudici di merito la costruzione dell’immobile e delle relative pertinenze che accedevano al terreno erano di proprietà di terze persone che ne mantenevano la titolarità, “lasciando alla società contribuente soltanto un mero diritto di godimento sottoposto alle ordinare previsioni di scadenza del contratto di affitto.

La Corte accoglie i motivi di ricorso del contribuente. Ritiene, infatti che la deducibilità dei costi di ristrutturazione del locale non possa essere subordinata al diritto di proprietà dell’immobile, essendo sufficiente che gli stessi siano sostenuti nell’esercizio dell’impresa, “al fine della realizzazione del miglior esercizio della attività imprenditoriale e dell’aumento della stessa e che ovviamente risultino dalla documentazione contabile”.

Analogamente si ritiene che si abbia diritto alla detrazione Iva purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta anche se potenziale o di prospettiva.