12 Ottobre 2021

Le associazioni nella giurisprudenza della Corte di Cassazione – II° parte

di Biagio GiancolaGuido Martinelli
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La scheda di FISCOPRATICO

La sentenza n. 26365 del 29.09.2021 è stata emessa a fronte di un ricorso dell’Agenzia delle entrate che ha impugnato una decisione della commissione tributaria regionale che aveva accolto l’appello di una associazione sportiva avverso un accertamento in materia di imposte dirette e iva.

Il tema è quello noto della applicabilità, all’ente in esame, delle agevolazioni fiscali di cui all’articolo 148 Tuir.

L’Amministrazione finanziaria, infatti, ha contestato, tra l’altro, due assunti su cui si era fondata la sentenza di appello: il primo che l’ufficio non avesse dimostrato univocamente la carenza di democraticità della associazione e che le ingenti spese di pubblicità non potessero essere assunte a indice della natura commerciale della associazione non essendo la propaganda “avulsa dal mondo no profit”.

La Cassazione, richiamandosi alla costante propria giurisprudenza precedente ribadisce che la applicabilità del regime agevolativo di favore previsto per le associazioni sportive dilettantistiche è subordinata alla sussistenza dei requisiti specificamente indicati dall’articolo 148, comma 8, Tuir la cui dimostrazione spetta al contribuente che se ne voglia avvalere.

L’associazione che voglia fruire delle agevolazioni non solo dovrà dimostrare l’effettivo svolgimento di attività senza scopo di lucro ma dovrà anche dimostrare di essersi conformata alle clausole relative al rapporto associativo che devono essere inserite nell’atto costitutivo o nello statuto.

La Corte conclude, accogliendo il ricorso dell’Agenzia, ricordando come fosse già stato in passato deciso che le agevolazioni non potessero essere riconosciute in presenza di distribuzione di utili, omessa compilazione del libro soci e mancata partecipazione degli associati alla vita dell’ente.

La sentenza n. 26516 del 30.09.2021 porta ad un interessante principio di diritto in materia di tracciabilità dei movimenti finanziari di una associazione sportiva dilettantistica.

Il problema è relativo all’applicabilità del principio del favore rei in quei casi in cui la violazione si era avuta nel periodo in cui era ancora sanzionata con la perdita del diritto ad applicare la L. 398/1991.

La circostanza che la decadenza di questo diritto fosse stata abrogata “sana” anche i periodi pregressi?

La Suprema Corte è di parere contrario. Infatti, richiamando un analogo principio affermato a Sezioni unite (Sezioni Unite, n. 2060 del 28.01.2011), in cui lo ius superveniens aveva abolito non retroattivamente una decadenza da un beneficio agevolativo, afferma che: “nella fattispecie oggetto del presente quesito la norma vigente all’epoca dei fatti non contemplava un trattamento peggiorativo a carico del contribuente ma escludeva che gli si potesse estendere un regime premiale il che esclude l’obbligatoria retroattività della norma abrogatrice in nome del principio del favor rei”

Concludiamo la nostra rassegna con la sentenza n. 359777 del 04.10.2021 (in questo caso emessa dalla terza sezione penale).

Il tema era legato alla omessa presentazione della dichiarazione Iva in seguito alla riclassificazione come commerciali (e quindi soggetti anche ad iva) di proventi riscossi da un sodalizio sportivo dilettantistico che li aveva considerati non soggetti ad imposte dirette e Iva in virtù del combinato disposto di cui agli articoli 148, comma 3, Tuir e articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972.

In primis i giudici di legittimità confermano che, in virtù di quanto previsto dall’articolo 90, comma 1, L. 289/2002, la disciplina agevolativa applicabile alle associazioni si estende anche alle società di capitali sportive dilettantistiche.

Si controverte sul termine “iscritto” contenuto nella norma del Tuir. Ossia l’agevolazione è applicabile anche a soggetti iscritti alla società sportiva ma non tesserati presso l’ente affiliante a livello nazionale riconosciuto dal Coni?

Appare chiara, ad avviso del Collegio, la ratio del provvedimento che mira a favorire, anche a fini fiscali, l’espletamento delle attività istituzionali dell’ente, identificate “in quelle svolte in favore di soggetti aderenti direttamente al medesimo ovvero vincolati ad altre associazioni che svolgano la stessa attività e facciano parte di un’unica organizzazione locale o nazionale o anche solo tesserati presso le rispettive organizzazioni nazionali”.

In questi ultimi casi si valorizza la stabile adesione del destinatario della prestazione del singolo ente alla medesima attività sportiva di riferimento individuata in rapporti associativi con altri enti della medesima organizzazione sportiva o con la stessa federazione sovraordinata.

In parole povere nei confronti di soggetti della stessa “famiglia” sportiva. Si vuole escludere dalla agevolazione le “prestazioni non strumentali rispetto al perseguimento effettivo degli scopo istituzionali e come tali inquadrabili solo in meri rapporti di tipo commerciale”.

Le attività decommercializzate devono essere circoscritte, secondo la Suprema Corte, solo a quelle che appaiono realmente dirette in favore di coloro che sono parte effettiva della vita dell’ente, e come tali risultano reali beneficiari e al tempo stesso attori delle finalità sportive perseguite.

Sulla base di ciò la decisione assume che: “termini quali iscritti o partecipanti, alla luce della peculiare struttura organizzativa, non appaiono espressivi dei predetti vincoli interni con riguardo alle associazioni o società in esame e quindi non possono individuare i destinatari delle attività de-commercializzate in parola”.