Le associazioni sportive e il codice del terzo settore
di Guido MartinelliLe associazioni e le società sportive dilettantistiche, come tali, non sono soggetti ricompresi tra gli enti del terzo settore.
La prova di tale affermazione è contenuta nel D.Lgs. 111/2017 (“Disciplina dell’istituto del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a norma dell’articolo 9 comma 1 lettera c) e d) della legge 6 giugno 2016 n. 106”) il cui articolo 3, nell’elencare i soggetti che possono essere iscritti distingue, alla lettera a), i soggetti del terzo settore dalle associazioni sportive, richiamate alla lettera e).
Premesso questo è altrettanto vero che gli enti del terzo settore possono svolgere attività sportiva dilettantistica, essendo quest’ultima espressamente ricompresa, alla lettera t) dell’articolo 5 D.Lgs. 117/2017 (d’ora in avanti cts), tra quelle di interesse generale che devono essere svolte da tali enti “in via esclusiva o principale”.
Sul punto l’Agenzia delle entrate, con la sua circolare 18/E/2018 ha chiarito che le associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro potranno scegliere se conservare le agevolazioni fiscali ad esse specificamente riservate dalla vigente disciplina oppure, in alternativa, qualora intendano entrare a far parte degli enti del terzo settore, fruire dei benefici fiscali previsti per tali enti del terzo settore, in luogo del regime fiscale specifico riservato alle sportive.
Ma, volendo prescindere dal calcolo di convenienza del regime fiscale, su cui molto si è già scritto, vediamo quali sono gli adempimenti “aggiuntivi” che le sportive dovranno valutare nel caso in cui intendano entrare nel terzo settore.
Il regime fiscale più vantaggioso, per la tipologia di attività connessa allo sport, presente nel codice del terzo settore, è sicuramente quello previsto per le associazioni di promozione sociale.
In tal caso il primo problema è l’articolo 36 cts.
Mentre nelle sportive tutti gli associati possono percepire compensi, con il solo limite del lucro indiretto, nelle aps i soggetti impiegati nell’attività remunerati non possono essere superiori al “cinquanta per cento del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati”.
Questo già “elimina” molte sportive dalla possibilità di diventare aps.
Gli enti del terzo settore con proventi, anche solo di carattere istituzionale, superiori a 220.000 euro sono tenuti a redigere il bilancio con stato patrimoniale, rendiconto e relazione di missione; le sportive no.
Gli enti del terzo settore non iscritti nel registro delle imprese devono depositare il loro bilancio presso il registro unico nazionale del terzo settore e, se hanno ricavi comunque denominati superiori ai centomila euro devono pubblicare annualmente e tenere aggiornati nel proprio sito internet: “gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e di controllo, ai dirigenti nonché agli associati”. Le associazioni sportive no.
Gli enti del terzo settore debbono assicurare i propri volontari anche per la responsabilità civile verso i terzi. Le sportive no (e forse solo questo è un male per queste ultime).
Nelle associazioni del terzo settore che abbiano superato, per due anni consecutivi, due dei seguenti limiti:
- 110.000 euro di attivo di stato patrimoniale,
- 220.000 di “entrate comunque denominate”,
- la media di cinque dipendenti occupati nel corso dell’esercizio,
vi sarà l’obbligo dell’organo di controllo, in cui, almeno un componente, deve avere i requisiti di cui all’articolo 2397 cod. civ.. Nelle associazioni sportive no.
Gli enti del terzo settore, ai sensi dell’articolo 93 cts sono soggetti a controlli finalizzati ad accertare:
- “La sussistenza e la permanenza dei requisiti necessari all’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore
- Il perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale
- L’adempimento degli obblighi derivanti dall’iscrizione al registro unico nazionale del terzo settore
- Il diritto di avvalersi dei benefici, anche fiscali e del cinque per mille derivanti dall’iscrizione nel registro unico nazionale del terzo settore
- Il corretto impiego delle risorse pubbliche, finanziarie e strumentali ad essi attribuite”
Questi controlli possono essere posti in essere dai seguenti soggetti:
“3. L’ufficio del registro unico nazionale del terzo settore territorialmente competente esercita le attività di controllo di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 nei confronti degli enti del terzo settore aventi sede legale sul proprio territorio anche attraversamento accertamenti documentali, visite ed ispezioni d’iniziativa, periodicamente o in tutti i casi in cui venga a conoscenza di atti o fatti che possano integrare violazioni alle disposizioni del presente codice …
4. Le amministrazioni pubbliche e gli enti territoriali che erogano risorse finanziarie o concedono l’utilizzo di beni immobili o strumentali di qualsiasi genere …. dispongono i controlli amministrativi e contabili ….
5. Le reti associative di cui all’articolo 41 comma due iscritte nell’apposita sezione del registro unico nazionale … e gli enti accreditati come centri di servizio per il volontariato … possono svolgere attività di controllo … nei confronti dei rispettivi aderenti…”
Questi controlli non sono previsti per le sportive.
Infine l’articolo 90, comma 25, L. 289/2002 prevede una assegnazione in gestione della impiantistica sportiva pubblica in via preferenziale alle associazioni e società sportive dilettantistiche che non si ritiene possa essere applicato in via estensiva agli enti del terzo settore.
Tutto questo per tacere dei dubbi (o, se preferite, delle non certezze) sull’applicabilità dei compensi sportivi dilettantistici.
Come si è visto, per le sportive, scegliere se diventare o meno ente del terzo settore non è solo una questione di pianificazione fiscale.
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