Le cessioni intracomunitarie a catena dal 2020: prime note operative
di Clara PolletSimone DimitriTra le linee di intervento per migliorare l’attuale sistema dell’Iva comunitaria sono comprese le modifiche apportate alla Direttiva 2006/112/Ue dalla Direttiva Ue 2018/1910 del 4 dicembre 2018 in tema di transazioni a catena.
Le operazioni a catena si riferiscono a cessioni successive di beni che sono oggetto di un unico trasporto intracomunitario. Al fine di evitare approcci diversi tra gli Stati membri, che possono avere come conseguenza la doppia imposizione (o la non imposizione) e, al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori, viene stabilita una norma comune secondo cui, purché siano soddisfatte determinate condizioni, il trasporto dei beni dovrebbe essere imputato a una sola cessione all’interno della catena di operazioni.
A valere dal 1° gennaio 2020, pertanto, è inserito l’articolo 36 bis Direttiva 2006/112/CE che, al paragrafo 1, dispone quanto segue: “Qualora lo stesso bene sia successivamente ceduto e sia spedito o trasportato da uno Stato membro a un altro direttamente dal primo cedente all’ultimo acquirente nella catena, la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione effettuata nei confronti dell’operatore intermedio.”
Per “operatore intermedio” s’intende un cedente all’interno della catena diverso dal primo, che spedisce o trasporta i beni esso stesso o tramite un terzo che agisce per suo conto. Secondo le note esplicative ancora in bozza (VEG 084-rev1 del 15 novembre 2019) per dimostrare il suo status di operatore intermediario, il soggetto in questione, dovrà dare prova di aver trasportato la merce per proprio conto o di aver organizzato il trasporto delle merci con terzi che agiscono per suo conto. Questa prova va distinta da quella, valutata separatamente, necessaria per beneficiare della non imponibilità Iva sulle cessioni intracomunitarie.
Affinché si applichi l’articolo 36 bis, devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:
- sono coinvolte almeno tre persone,
- le merci devono essere spedite o trasportate da uno Stato membro all’altro Stato membro (le transazioni a catena che coinvolgono importazioni ed esportazioni, o che riguardano solo forniture nel territorio di uno Stato membro, sono escluse dalla disposizione),
- le merci devono essere trasportate o spedite direttamente dal primo fornitore all’ultimo cliente della catena.
Nelle considerazioni della causa C-401/18 (citata nella bozza alle note esplicative VEG 84 rev1) nell’attribuire il trasporto transfrontaliero unico a una determinata fornitura in una catena di approvvigionamento, il fattore cruciale è chi si assume il rischio di perdita accidentale durante il trasporto transfrontaliero delle merci.
Nella normativa italiana, il D.L. 331/1993 regola le operazioni intracomunitarie in triangolazione con gli articoli 38, comma 7, 40, comma 2, 44, comma 2 e 46, comma 2; le circolari 13/E/1994 e 148/E/1998 illustrano invece le possibili composizioni di operatori coinvolti nelle operazioni. La caratteristica fondamentale è il trasferimento diretto dei beni oggetto della transazione a catena.
Così, ad esempio, la circolare 13/E/1994 tratta il caso in cui l’operatore italiano (IT) acquisti da fornitore comunitario (NL) beni provenienti da un terzo Stato membro (EL). L’operatore italiano:
- riceve fattura senza addebito d’imposta, con la quale il fornitore olandese lo designa espressamente quale responsabile, in sua sostituzione, del pagamento dell’imposta in Italia;
- integra e registra il documento nei modi stabiliti dagli articoli 46 e 47 del decreto-legge;
- compila l’elenco riepilogativo degli acquisti, indicando a colonna 2 e 3 il codice ISO ed il numero identificativo del proprio fornitore olandese e a colonna 13 (Paese di provenienza), il codice EL (fatte salve le ipotesi di esonero dalla presentazione del modello INTRA 2-bis).
L’operazione, da un punto di vista giuridico non costituisce acquisto intracomunitario (articolo 38, comma 7), ma cessione nello Stato, con esonero per il cedente olandese di nominare un proprio rappresentante fiscale in Italia.
Altro esempio riguarda il caso in cui l’operatore italiano (IT) acquista dei beni da un soggetto d’imposta residente in Olanda (NL), incaricando quest’ultimo di effettuare la consegna direttamente al proprio cliente residente in Grecia (EL). IT nel rapporto con il fornitore olandese pone in essere un acquisto intracomunitario (articolo 38), mentre nel rapporto con il cliente greco effettua una cessione intracomunitaria (articolo 41).
Egli pertanto:
- riceve una fattura senza imposta che deve integrare e registrare a norma degli articoli 46 e 47 DL 331/1993, senza tuttavia esporre l’Iva, a norma dell’articolo 40, comma 2;
- emette fattura senza Iva, ai sensi dell’articolo 41, comma 1, lettera a), da annotare distintamente nel registro di cui all’articolo 23 D.P.R. 633/1972, designando espressamente sul documento il cliente greco quale responsabile, in sua sostituzione, del pagamento dell’imposta all’atto dell’arrivo dei beni in Grecia.
Vi è una deroga nel caso in cui l’operatore intermedio comunichi, al suo cedente, il possesso di un numero identificativo Iva nel paese del cedente stesso (Stato di partenza dei beni): in tal caso il cedente fattura con l’Iva all’operatore intermedio, utilizzando il numero di identificazione comunicato, mentre l’operatore intermedio effettua una cessione non imponibile Iva nei confronti dell’acquirente finale.
La norma recita, al paragrafo 2 dell’articolo 36 bis, Direttiva 2006/112/CE, quanto segue: “In deroga al paragrafo 1, la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione di beni effettuata dall’operatore intermedio se quest’ultimo ha comunicato al cedente il numero di identificazione Iva attribuitogli dallo Stato membro a partire dal quale i beni sono spediti o trasportati”.
13 Febbraio 2020 a 19:42
Questa direttiva è una schifezza che vuol dare il colpo di grazia alle triangolazioni intracomunitarie e, dunque, non ha più senso l’Unione Europea, che già è una cloaca dedicata a banche e multinazionali. E così solo le multinazionali, che hanno un certo patrimonio, possono avvalersi di determinati scambi. Come farebbe il promotore/intermedio, che si suppone avere basso potere contrattuale (e basso reddito/patrimonio) prima a caricarsi l’IVA come un credito dalla cassa e poi esentarla al soggetto passivo finale? Non lo farà nessuno, solo se si mettono soldi a iosa in società (e torniamo alle multinazionali). Basta un ordine di poche migliaia di €, ma anche meno, per andare in crisi. Cosa faranno se il cliente finale è un soggetto passivo? Quell’ordine non possono soddisfarlo, non potranno mai sobbarcarsi l’IVA in un primo momento, neanche ci si pensa. Qui parliamo di palesi flussi di cassa che in molti non si potranno permettere. Lo sanno benissimo che il debitore dell’IVA dovrebbe essere solo l’ultimo cedente, se la prendano con l’ultimo cedente che deve dichiarare il vero, è semplice pure dal punto di vista dei controlli. Qui non c’entra niente la prevenzione delle frodi, vogliono privilegiare il primo cedente. E chi è il primo cedente? Quello che ha il capitale, che può avere succursali in vari paesi e si divide il mercato, di certo non l’intermediario che così sarà limitato al suo territorio, come già avviene illecitamente in molti casi (vedi regole anticoncorrenziali).