Le chiacchiere di suora: dolci misteri di Parma
di Paola Sartori – Foodwriter e bloggerA Parma l’antichissimo dolce tradizionale di Carnevale viene chiamato chiacchiere di suora.
Perché a Parma questo dolce leggero e friabile conosciuto in Italia con nomi diversi come bugie in Piemonte e Liguria, crostoli e galani in Veneto, frappe e crespelle nell’Italia centrale, fregnacce a Roma, meraviglie in Sardegna, assume questo nome?
Guglielmo Capacchi, autore de “La Cucina Popolare Parmigiana” ritiene che questa leccornia esca da uno di quei conventi che per secoli sono stati laboriose fucine di prelibatezze.
Ancora oggi questo dolce viene preparato con farina, burro, zucchero, uova e una componente alcolica come la grappa, il Marsala, la Sambuca, il vinsanto, il brandy o un altro distillato o liquore.
L’impasto viene tagliato a strisce con un taglio al centro per formare un nodo.
La cottura avviene in frittura, anche se oggi è spesso sostituita con quella al forno considerata più salutare, infine ci si spolverizza lo zucchero a velo oppure il miele.
Oggigiorno proliferano anche le varianti con cioccolato e/o zucchero a velo, Alchermes, o servite con il mascarpone montato e zuccherato o con una colata di cioccolato fondente.
La dicitura “chiacchiere di suora” inizia a essere usata nel 1800, quando Parma si apre alle novità della pasticceria francese.
In Francia esistono molti dolcetti chiamati letteralmente peti di monache: sono dei pasticcini inventati nel 1540 da un cuoco italiano arrivato in Francia dopo aver lasciato Firenze e la corte di Caterina De’ Medici.
L’opinione diffusa rispetto a questa poco nobile denominazione è che il termine derivi da pâte o paix e storpiato in pet, un augurio di pace dato dalle suore.
Alcuni dicono che “pet de scœurs” derivi dal suono che fa l’impasto durante la frittura nello strutto.
Non mancano altre ipotesi fantasiose e discutibili ma dobbiamo ammettere che alla chiesa fanno riferimento molte denominazioni di cibi, come i sospiri delle suore, la torta paradiso, la torta cibo degli angeli, la mousse cardinale, la torta della dodicesima notte, la torta di Natale, il budino di Gerusalemme.
È probabile, quindi, che l’arrivo a Parma di denominazioni francesi che fanno riferimento alle suore, abbia spinto i parmensi a creare il nome chiacchiere di suora per distinguerli dalle altre chiacchiere e scherzare un po’ visto il periodo.
Altra ipotesi sull’origine delle chiacchiere di suora è quella di collegarle alla crespella o alla frittella di Carnevale, presente anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri.
Ubaldino degli Ubaldini, nobile Toscano, detto Ubaldino della pila, per la sua ingordigia viene inserito da Dante nel Purgatorio tra i golosi.
Al goloso Ubaldino sono state dedicate le crespelle ubaldine, una ricetta così famosa presso l’opinione pubblica dell’epoca da essere citata da Dante Alighieri.
Ubaldino della pila era celebre per essere ghiotto di crespelle, quelle che ora sono dette chiacchiere.
Se fosse vera quest’ultima ipotesi, il riferimento dantesco sarebbe un altro importante pregio delle parmigiane chiacchiere di suora.
Cosa preferire poi tra le crespelle ubaldine, così buone da far lasciare le penne al povero goloso Ubaldo, e i peti di Suora, sta a voi la scelta…ma tanto si sa, a Carnevale ogni scherzo vale!