Le differenze “inventariali” nell’affitto di azienda, evitiamo equivoci
di Claudio Ceradinidifferenze cosiddette
inventariali sono uno degli aspetti più equivoci dell’
affitto di azienda, che peraltro, lo abbiamo sempre sostenuto, è una delle operazioni cosiddette straordinarie
maggiormente complesse, per ragioni sia
endemiche che di
contesto normativo. L’azienda è di per sé quanto di
meno affittabile si possa immaginare ed è per questo che, saggiamente, chi di queste operazioni si occupa consiglia di limitare al minimo indispensabile il
perimetro definitorio del complesso trasferito. Tuttavia è innegabile che, in molte circostanze, l’istituto si riveli
utile, a partire dall’esigenza di sospendere per un periodo di tempo circoscritto la gestione di un esercizio commerciale, concedendolo in affitto a terzi, per arrivare alle più complesse operazioni di
risanamento, in cui la attuale scarsa operatività dello strumento
concordatario in continuità “pura” rende questa operazione particolarmente attuale. Nel contempo però il
quadro normativo dell’affitto di azienda è, per usare un eufemismo,
asfittico e si limita al rinvio, contenuto nell’art.
2562 C.C., al precedente
2561 C.C. in tema di usufrutto, all’art.
102, co. 8, Tuir, ed all’art.
8, co. 3, DPR 633/1972 per la disciplina del trasferimento del
plafond IVA, dettaglio talmente peculiare e di nicchia, che stupisce trovi regolamentazione in un contesto sostanzialmente inesplorato per la legge. E’ po’ come se nelle fusioni la legge normasse il trattamento del disavanzo da concambio in caso di partecipazioni incrociate rappresentate da azioni di risparmio e non si occupasse dell’operazione in sé. Tuttavia la norma c’è e ce la teniamo ben
stretta.
complessi ed
equivoci. Il tema delle differenze inventariali ha due volti, quello
quantitativo, e quello che definiremo
qualitativo. Il primo, che trova disciplina al
co. 4 dell’art.
2561 C.C., prevede che la differenza tra le
consistenze di inventario all’inizio ed alla fine dell’usufrutto (leggi affitto) sia regolata in
denaro, sulla base dei valori correnti. La finalità della norma è quella di costituire in capo al proprietario una sorta di diritto di
risarcimento, per le eventuali componenti del complesso aziendale che mancassero alla data di
riconsegna. Un po’ come se si affittasse un appartamento arredato e corredato: se alla data di riconsegna i bicchieri non sono dieci, come all’inizio, ma otto, l’affittuario deve rimborsarne due al proprietario. Solo che
l’azienda non è composta di bicchieri, ma di elementi estremamente più difficili sia da
inventariare che da
stimare, come il magazzino, i crediti, gli utensili, l’avviamento stesso e l’organizzazione aziendale. E per tutti questi elementi il
contratto deve prevedere le modalità sia di
conteggio in contraddittorio che di
stima, affinché i rapporti al termine dell’affitto possano essere consensualmente, e forse agevolmente,
definiti. Ecco perché, normalmente, si cerca di
limitare molto il perimetro aziendale affittato, gestendo l’utilizzo dei beni esclusi mediante stipula di
contratti accessori (locazione dell’immobile, somministrazione per il magazzino, etc.). Va detto che l’obbligo di regolazione inventariale può essere
derogato, in tutto o in parte, consentendo ampia libertà alle parti, nei limiti della loro condizione (nel
risanamento la tutela dei ceditori limita molto questa libertà).
co. 2 dell’art. 2561 C.C. che, disciplinando gli obblighi dell’usufruttuario (leggi affittuario), prevede che egli debba gestire l’azienda senza modificarne la
destinazione ed in modo da conservare l’
efficienza dell’organizzazione e degli impianti, oltre alle normali dotazioni di scorte. In sostanza l’affittuario, in assenza di deroga, deve
riconsegnare beni e diritti ricevuti in affitto non solo nella
stessa quantità, ma anche nelle
stesse condizioni organizzative e di efficienza. Qui si misura l’obbligo di affittuario o proprietario di imputare a conto economico il
costo dell’utilizzo del complesso aziendale che certamente, da chiunque sia gestito, subisce una progressiva
riduzione di valore quale immediata conseguenza del fatto stesso che è
utilizzato. Un impianto, un’organizzazione, un marchio, strumentali alla gestione dell’impresa, perdono nel corso del tempo il loro valore, e per questo vengono sottoposti a quel
processo, piuttosto famoso, che ne consente l’attribuzione del
costo sostenuto agli
esercizi in cui tali elementi vengono utilizzati. Ove l’obbligo di mantenimento dell’efficienza sia
derogato, con conseguente presumibile
adeguamento del canone di affitto, il
proprietario dovrà proseguire nel piano di
ammortamento, registrando alla voce
B.10 del conto economico le quote di
ammortamento che progressivamente maturano. Nessun costo invece subirà l’affittuario. Al contrario, in
assenza di deroga, l’affittuario sarà tenuto a riconsegnare gli impianti nella
medesima condizione di
efficienza, e quindi così come li ha ricevuti. A questo titolo l’affittuario dovrà
accantonare annualmente in corso di affitto, alla voce
B.13 – “Accantonamenti per reintegro azienda in affitto” l’importo del
deprezzamento annuo, che in contropartita genera un
debito nei confronti del proprietario. Alla restituzione, al proprietario sarà
riconsegnata l’azienda, ridotta nella sua efficienza, e
pagato il costo di questa riduzione, rappresentato dal “
debito” progressivamente accantonato nel patrimonio dell’affittuario. Ed è coerente in questo senso l’art. 102, co. 8, Tuir, che attribuisce in via generale all’affittuario la
deduzione degli ammortamenti, quantificando così fiscalmente le
quote accantonate dall’affittuario nella stessa
misura prevista dal
co. 1 del medesimo articolo,
fatta eccezione per i casi di
deroga convenzionale alle norme dell’art. 2561 C.C. concernenti l’obbligo di
mantenimento dell’efficienza. Il riferimento è inequivocabilmente al
secondo comma dell’art. 2561 C.C.. Poco senso hanno, quindi, tutte quelle
clausole contrattuali, troppo frequenti e troppo equivoche, in cui si assegna
all’affittuario l’obbligo di mantenimento dell’efficienza, aggiungendo “
salvo il deperimento d’uso”. E’ proprio il deperimento d’uso il senso del mantenimento dell’efficienza, sia civilisticamente che fiscalmente, e una clausola di questo tipo costituisce solo un
tentativo, maldestro e improduttivo alla fine, di assegnare il
beneficio fiscale dell’ammortamento all’affittuario, che però, apparentemente, non pare dover riconoscere nulla al proprietario al termine del rapporto. Il debito generatosi fino a quel momento si scaricherebbe in
conto economico come sopravvenienza attiva, non essendo dovuto, con buona pace del beneficio fiscale.