5 Settembre 2015

Le difficoltà connesse all’utilizzo dell’impresa familiare

di Comitato di redazione
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L’istituto dell’impresa familiare (previsto dall’articolo 230-bis del c.c.) è frequentemente utilizzato nella pratica quotidiana essenzialmente per due motivi:

  1. innanzitutto il beneficio in termini di riduzione dell’aliquota media di tassazione, rispetto all’ipotesi nella quale l’intero reddito fosse imputato al titolare;
  2. in secondo luogo, la possibilità di regolarizzare ai fini previdenziali ed infortunistici la posizione dei familiari a vario titolo coinvolti nell’attività.

Molto spesso, tuttavia, l’istituto viene sottovalutato in termini di conseguenze che può far scaturire; ne sono un esempio le molte posizioni problematiche che si sviluppano in sede di separazione tra coniugi, laddove la presenza dell’impresa familiare determina la richiesta di liquidazioni economiche fondate sull’utilizzo dell’istituto, anche se – nella realtà – si perseguiva unicamente il risparmio fiscale.

Oltre a questi problemi di natura prevalentemente civilistica, spesso insorgono anche difficoltà di natura tributaria.

A riguardo, una conseguenza spesso non valutata è l’incremento della pretesa in termini di ricavi derivante dagli studi di settore, poiché Gerico valorizza la presenza del collaboratore come soggetto atto a produrre un incremento del fatturato. Altri profili critici sorgono specialmente in occasione di accadimenti particolari quali modifiche della composizione, conferimenti o cessioni d’azienda.

Proprio con riferimento a tale ultima vicenda, si è dibattuto, nel passato, in merito alle conseguenze tributarie derivanti dalla cessione di una azienda organizzata come impresa familiare: chi è il soggetto tenuto alla tassazione dell’imponibile prodotto?

La vicenda, come già dettagliato sulle pagine di questo quotidiano, è stata recentemente risolta con l’emanazione della risoluzione 78/E dello scorso 31 agosto; l’Agenzia ha confermato che l’intero imponibile ritratto dalla transazione vada tassato in capo al titolare dell’impresa familiare, poiché lui solo è il soggetto fiscale di riferimento che produce il reddito, mentre quanto attribuito ai familiari non rappresenta un costo, ma solo una destinazione dell’utile, con applicazione del criterio della tassazione per trasparenza.

Eventuali somme assegnate ai collaboratori, che secondo le indicazioni del codice civile, hanno diritto ad una quota degli incrementi di valore riconducibile al loro apporto lavorativo, saranno fiscalmente irrilevanti, così come accade in ipotesi di “recesso” del familiare dall’impresa (circostanza, questa, chiarita sempre dall’Agenzia con l’emanazione della risoluzione n. 176 del 28-04-2008).

Fin qui nulla di strano, vale a dire si è data finalmente copertura ad una ipotesi che, teoricamente, poteva già essere risolta in via interpretativa, essendosi giunti a medesime conclusioni nella circolare 320/E/1997 in tema di conferimento; nella cessione, l’unica cosa che cambia è che il corrispettivo per l’attribuzione dell’azienda è rappresentato da denaro anziché da quote di partecipazione nella società conferitaria.

Una cosa particolare che ci sentiamo di evidenziare, invece, è rappresentata dal fatto che la risoluzione evocata riguarda un comportamento che si intendeva porre in essere nel corso del 2013; presumibilmente, dunque, si era avanzato lo specifico quesito prima del termine di presentazione della dichiarazione di tale periodo di imposta.

La risposta al dubbio, se è vero quanto precede, giunge solo nel corso del 2015, ed a tale riguardo sarebbe interessante conoscere il motivo di tanto ritardo nella diffusione di un documento che, certamente, ha un interesse più che diffuso.

Ecco allora che, probabilmente per rimediare a tale pecca, la risoluzione chiude con uno spiraglio: “…, considerate le obiettive condizioni di incertezza sulle modalità di applicazione della tassazione sulla plusvalenza da cessione dell’impresa familiare derivanti dalle diverse interpretazioni fornite, dapprima, con nota 984 del 17 luglio 1997 e, poi, con la circolare n. 320/E del 19 dicembre 1997, si ritiene che, in ossequio al principio di tutela dell’affidamento e della buona fede sancito dall’articolo 10, comma 3, della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), sussistano le condizioni per escludere l’applicazione delle sanzioni nel caso in cui la plusvalenza realizzata dalla cessione sia stata ripartita tra il titolare dell’impresa e i collaboratori familiari”.

Come a dire che, stante l’inerzia del soggetto interpellato, comportamenti difformi alla soluzione ufficiale proposta non determineranno l’applicazione di sanzioni; ciò però significa che i redditi comunque verranno imputati al titolare dell’impresa, mentre i collaboratori avranno un “alleggerimento” del loro imponibile.

L’affermazione, sostanzialmente stringata e di apparente buon senso, può però ingenerare numerosi dubbi.

Si pensi, ad esempio, ad una cessione avvenuta nel corso del 2014, periodo in relazione al quale le imposte sono già state corrisposte anche se il modello dichiarativo non è stato ancora inviato.

Che fare in questa situazione? Si deve provvedere alla rettifica degli imponibili con contestuale modifica degli importi a debito e a credito?

In caso positivo, la correzione determina l’obbligo di applicare la tecnica del ravvedimento operoso?

In linea di principio ci sentiremmo di escludere tale ultima circostanza, proprio per la copertura presente nella risoluzione, come sopra testualmente riportata.

Quindi, il titolare provvede a ricompilare la propria dichiarazione, incrementando il reddito; successivamente, dovrebbe pagare le maggiori imposte derivanti, applicando solamente gli interessi ma escludendo le sanzioni.

I collaboratori, viceversa, decrementeranno il proprio reddito, evidenziando posizioni creditorie nel modello UNICO da trasmettere entro fine mese.

Ci piacerebbe sapere cosa accadrà in sede di liquidazione di questi modelli dichiarativi, così come ci piacerebbe sapere quale sarà il contenuto del preavviso di irregolarità che certamente verrà recapitato al titolare.

Se, poi, si fosse optato per la tassazione ordinaria, ci sarebbe da regolare anche l’eventuale aspetto previdenziale della contribuzione, con posizioni a credito e a debito dei soggetti (auguri a chi evidenzierà il credito per l’ottenimento del rimborso!).

Insomma, probabilmente in queste circostanze converrebbe lasciare stare tutto come è stato fatto (attendendo eventuali interventi dell’Agenzia), anche se non possiamo sottacere il fatto che il momento fiscalmente rilevante risulta essere quello della dichiarazione (e non quello di effettuazione del versamento), con la conseguenza che al 30 di settembre la nuova posizione dell’Agenzia era conoscibile e, pertanto, il comportamento sarebbe sanzionabile.

In chiusura, abbiamo evidenziato una cosa che manca nel nostro ordinamento: lo possibilità, in ipotesi come quella descritta, di effettuare una compensazione trasversale delle imposte versate da soggetti diversi in relazione alla medesima fonte reddituale. In un paese civile, si dovrebbe verificare quante risorse sono state sottratte all’Erario (se ve ne fossero) e richiedere solo il versamento dell’eccedenza.