30 Novembre 2015

Le diverse implicazioni tra caparra, acconti e cauzioni

di Fabio Pauselli
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Nell’ambito degli accordi contrattuali l’utilizzo di caparre, acconti e cauzioni possono generare implicazioni di carattere legale e fiscale totalmente diverse tra loro.

La caparra, al verificarsi di un danno prodotto dall’inadempimento o da un tardivo adempimento di una delle parti a fronte di una obbligazione assunta, va inquadrata nella fattispecie della liquidazione del danno, che può essere legale, giudiziale o volontaria.

Al momento della conclusione di un contratto una parte, a conferma dell’impegno assunto, versa all’altra una somma di denaro definita, in tal caso, caparra confirmatoria. In caso di inadempimento della controparte:

  1. colui che ha ricevuto la caparra potrà recedere trattenendola a titolo di risarcimento del danno oppure potrà richiedere la risoluzione del contratto o esigerne l’esecuzione, spettandogli il risarcimento del danno.
  2. colui che ha pagato la caparra potrà recedere dal contratto ed esigere il doppio di quanto pagato oppure pretendere l’esecuzione o chiedere la risoluzione del contratto, spettandogli il risarcimento del danno.

La caparra si presume tale solo se le parti manifestano la loro volontà in tal senso; il patto per costituire prova ai fini giuridici e fiscali deve essere menzionato in forma scritta. È esclusa dal campo di applicazione Iva e non costituisce corrispettivo di cessione di beni o di prestazione di servizi. L’operazione non ha alcuna influenza nemmeno ai fini delle imposte dirette, a meno che non si verifichi l’inadempienza di una delle due parti, costituendosi, in tal caso, una componente di reddito positivo o negativo. La caparra confirmatoria ha funzione di garanzia, pertanto, ai sensi dell’articolo 6 della Tariffa del Tur, è soggetta all’imposta di registro nella misura dello 0,50%. Se viene corrisposta in conseguenza di un contratto preliminare, l’imposta pagata è imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.

La caparra penitenziale costituisce il corrispettivo per il diritto di recesso convenzionalmente stabilito. Chi recede perde la caparra o deve pagare il doppio di quanto ha ricevuto, senza che si possa pretendere il risarcimento in quanto non è configurabile l’inadempimento. Differisce dalla caparra confirmatoria per la diversa funzione giuridica: mentre la prima ha funzione di corrispettivo, allo scopo di ristabilire l’equilibrio economico venuto meno in seguito all’esercizio del diritto di recesso contrattualmente previsto, la penitenziale può avere solo una funzione parzialmente risarcitoria di un danno. Secondo la dottrina prevalente, al momento della stipula del contratto contenente la caparra penitenziale, questa sconta l’imposta di registro fissa mentre sconterà l’imposta di registro dello 0,50% in caso di esercizio del diritto di recesso. Ai fini Iva e delle imposte dirette valgono le stesse regole viste per la caparra confirmatoria.

In caso di dubbio sull’effettiva volontà delle parti o in mancanza di atto scritto o altro documento probatorio, la somma di denaro versata preventivamente assume la natura di acconto. In questo caso siamo in presenza di un’operazione imponibile, trattandosi di un parziale corrispettivo per la cessione di beni o la prestazione di servizi. In tal senso si applicherà la stessa aliquota del bene ceduto e, qualora sia variata l’aliquota Iva, rimane valida quella applicata al momento della fatturazione dell’acconto o dell’anticipo, fermo restando che sarà necessario fatturare la parte residua con la nuova aliquota. In materia di registro, agli acconti o anticipi non soggetti ad Iva si applicherà l’imposta di registro nella misura del 3%. Anche qui se l’acconto è pagato in conformità ad un contratto preliminare, l’imposta pagata sarà imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo. Per gli acconti o gli anticipi soggetti ad Iva, questi sconteranno l’imposta di registro in misura fissa in caso d’uso.