Le diverse “insidie” fiscali del Trattamento fine mandato degli amministratori (TFM)
di Fabio GiommoniIl trattamento di fine mandato (TFM) rappresenta un compenso, generalmente ulteriore rispetto quelli ordinari, che viene erogato all’amministratore di società solo al termine del mandato.
Il TFM si è molto diffuso nella pratica, quale strumento di pianificazione fiscale, perché consente alla società di dedurre, per competenza, l’importo stanziato annualmente, mentre la tassazione in capo all’amministratore, quale reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, è “differita” al momento in cui l’indennità verrà materialmente corrisposta, alla conclusione del mandato, trattandosi di reddito tassato per “cassa”.
Tuttavia, lo strumento è caratterizzato da una serie di problematiche in ambito fiscale che devono essere attentamente valutate nella pratica professionale, al fine di evitare gravosi contenziosi con l’Amministrazione finanziaria, la quale, in sede di verifica, spesso e volentieri contesta la deducibilità del TFM, sotto diversi profili.
Il primo profilo riguarda le specifiche formalità che, secondo l’interpretazione ministeriale, devono essere assolutamente rispettate per assicurare la deducibilità per competenza dell’accantonamento al TFM imputato in bilancio annualmente.
La questione deriva dal fatto che il TFM, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera c) del Tuir, è tassato in capo all’amministratore che lo percepisce in via separata (fino all’importo di 1 milione di euro ex articolo 24, comma 31, D.L. 201/2011), purché il diritto all’indennità derivi da atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, altrimenti è tassato in via ordinaria, ovvero concorrendo a formare la base imponibile Irpef del percipiente.
L’articolo 105, comma 4, Tuir stabilisce, poi, che la deducibilità degli accantonamenti per le quote maturate in ciascun esercizio (prevista dai precedenti commi 1 e 2) vale anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all’articolo 17, comma 1, lettera c), ovvero per il TFM.
Il richiamo all’articolo 17 Tuir ha fatto ritenere l’Amministrazione finanziaria che la deducibilità per competenza sia ammessa solo se il diritto al TFM risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto (come richiesto dalla citata norma per la tassazione separata).
Tale tesi ministeriale, benché fortemente criticata dalla dottrina (si veda la norma di comportamento AIDC n. 180/2011), è stata sistematicamente confermata dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 22760/2021, 13384/2020, 31473/2019, 19368/2018, 18752/2014, 10959/2007), fino alla recentissima ordinanza n. 19445 del 10.07.2023, la quale ha ulteriormente affermato come l’attribuzione del TFM all’amministratore in occasione della sua nomina non potrebbe essere considerato un “atto avente data certa anteriore alla nomina medesima”.
In altre parole, l’amministratore non dovrebbe accettare la nomina già nel corso dell’assemblea in quanto prima che sia conclusa l’adunanza non potrebbe essere conferita alla stessa data certa, ma il rapporto sarebbe già iniziato, proprio in conseguenza dell’accettazione della carica, mentre l’articolo 17, comma 1, lettera c) del Tuir richiede che il diritto all’indennità derivi da atto avente data certa “anteriore all’inizio del rapporto”.
Alla luce di queste posizioni, per evitare qualsiasi rischio di contenzioso, è dunque opportuno che, se non interviene per atto notarile, la delibera che nomina l’amministratore e gli conferisce il diritto al TFM sia inviata a mezzo pec, per attribuirgli data certa, subito dopo che si è chiusa l’adunanza, ma prima che il soggetto designato accetti la carica, circostanza che determina “l’inizio del rapporto”.
La procedura da suggerire nella pratica è dunque quella di inviare via pec all’amministratore il verbale di nomina e di attribuzione del TFM e sempre via pec ricevere l’accettazione della carica da parte dell’amministratore stesso.
La delibera assembleare (avente data certa) dovrebbe indicare, ai fini della deducibilità per competenza in capo alla società, anche l’importo dell’indennità che viene attribuita all’amministratore (Cassazione, sentenza n. 13556/2022, 3994/2021, 17367/2020, 26431/2018) anche se la risposta a interpello n. 292/2021 consentirebbe la deducibilità per competenza anche quando la delibera assembleare non indica l’ammontare del TFM spettante, il quale viene invece demandato ad una successiva delibera del Consiglio di amministrazione (ex articolo 2389, comma 3, cod. civ.).
Ma l’altro profilo di rischio fiscale attiene proprio alla giusta “quantificazione” del TFM deducibile dal reddito di impresa.
La questione nasce dal fatto che non esiste una norma civilistica che preveda l’obbligatorietà del TFM (come invece avviene per il TFR ai sensi dell’articolo 2120 cod. civ.), per cui la determinazione dell’indennità è rimessa alle parti, che tuttavia sono generalmente “correlate”, perché gli amministratori sono anche soci, per cui l’operazione non avviene in regime di “libera concorrenza”.
Da qui la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di “sindacare” l’entità TFM determinato dall’assemblea dei soci, alla luce dei generali canoni di inerenza, congruità e ragionevolezza che, come confermato dalla giurisprudenza della Cassazione, caratterizzano la deducibilità dei costi nell’ambito del reddito di impresa.
Sebbene la gran parte della giurisprudenza abbia osservato che non esiste alcuna norma che limiti l’entità del TFM deducibile in capo alla società, una parte minoritaria ha sostenuto che si applichi al TFM il medesimo criterio di calcolo del TFR previsto dall’articolo 2120 cod. civ., il quale, come è noto, prevede che “tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5”.
Al di là del dibattito dottrinale sulla questione, si osserva che se l’ammontare del TFM amministratori è determinato secondo il calcolo del TFR, la società si pone al riparo da qualsiasi contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria circa l’importo deducibile dell’indennità accantonata annualmente.
Ulteriore “insidia” fiscale si manifesta allorquando emerge la necessità che l’amministratore (che è anche socio) rinunci a percepire il TFM in favore della società perché questa, per via della crisi, non è in grado di corrisponderlo o perché comunque si evidenziano necessità di ricapitalizzare la società.
Quando l’amministratore che rinuncia fa anche parte della compagine sociale, si applica il nuovo regime fiscale delle rinunce ai crediti da parte dei soci di cui al comma 4-bis dell’articolo 88 del Tuir, applicabile a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 7 ottobre 2015.
In base a tale disposizione la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva tassata per la società per la parte che eccede il valore fiscale del credito, per cui il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, è tenuto a comunicare alla partecipata tale valore fiscale del credito, che, in assenza di comunicazione, è assunto pari a zero.
Emerge quindi una sopravvenienza imponibile, per la società beneficiaria della rinuncia, pari alla differenza tra il valore nominale del credito e il valore fiscale dello stesso, mentre per il socio l’onere conseguente alla rinuncia va ad incrementare il costo della partecipazione, entro i limiti del valore fiscale del credito rinunciato (articoli 68 e 94 del Tuir).
In tale ambito, la risoluzione n. 124/E/2017, tenuto conto che il TFM è tassato in capo all’amministratore secondo il principio di cassa, ha invocato l’applicazione del principio dell’“incasso giuridico”, secondo il quale la rinuncia a crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa – come, appunto, quelli relativi a compensi spettanti agli amministratori – presuppone l’avvenuto “incasso”, in termini “giuridici”, del corrispondente reddito e quindi l’obbligo della sua tassazione.
Secondo la risoluzione 124/E/2017, la rinuncia da parte dell’amministratore alla percezione del TFM maturato equivarrebbe al suo incasso e dunque si verificherebbero i presupposti per la tassazione Irpef in capo all’amministratore stesso.
Nel contempo, per la società non emerge alcuna sopravvenienza attiva tassabile, in quanto a seguito dell’incasso giuridico (e conseguente tassazione per l’amministratore) il valore fiscale del credito per TFM va a coincidere con quello nominale.
La tesi dell’incasso giuridico è stata molto criticata dalla dottrina (in particolare dalla norma AIDC n. 201/2018), ma, almeno in un primo tempo, è stata confermata dalla giurisprudenza della Cassazione, con la sentenza n. 12222/2022.
Tuttavia, di recente la Cassazione, con la sentenza n. 16595 del 12.06.2023, sembra aver cambiato impostazione, anche se con riferimento ad un caso diverso dal TFM (si è trattato della rinuncia di crediti per interessi su un prestito del socio).
Nell’occasione la Cassazione ha ritenuto che, proprio dopo l’introduzione del comma 4-bis all’articolo 88 Tuir (da parte del D.Lgs. 147/2015) è venuto meno qualsiasi rischio di salto d’imposta che giustifichi l’applicazione dell’incasso giuridico.
In particolare, secondo i giudici di legittimità, la rinuncia di un credito avente valore fiscale pari a zero, come per i crediti legati ad un reddito tassato per cassa, non è tassata in capo al socio e non incrementa il valore fiscale della sua partecipazione, ma comporta la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata (proprio perché, in assenza di effettivo incasso, e dunque di tassazione in capo al socio, il valore fiscale del credito è da considerarsi pari a zero).
Applicando al caso del TFM i principi affermati dalla sentenza della Cassazione n. 16595/2023 emerge che, diversamente da quanto prospettato dalla risoluzione 124/E/2017, la rinuncia all’indennità non comporterebbe tassazione per l’amministratore/socio, bensì per la società.
In attesa che l’Agenzia delle entrate si uniformi a questa impostazione, l’incertezza sul trattamento della rinuncia al TFM regna sovrana, per cui si consiglia di valutare molto attentamente se procedere con una simile operazione.