Le fondazioni culturali e il terzo settore – II° parte
di Guido MartinelliMarco D’IsantoNell’ordinamento italiano le figure giuridiche non lucrative si sono tradizionalmente divise in associazioni e fondazioni. Nelle prime prevale, per il perseguimento di una determinata finalità definita nello statuto dell’ente, la componente personale mentre, nelle seconde, prevale la componente patrimoniale.
Le fondazioni, in particolare, sono state a lungo considerate alla stregua di organizzazioni deputate all’amministrazione di un patrimonio, vincolato allo scopo, ossia l’erogazione di una utilità ad una particolare categoria di beneficiari nel perseguimento di una finalità di interesse generale, in linea con gli scopi statutari.
L’evoluzione moderna di questi istituti ha fatto cadere progressivamente la distinzione scolastica tra associazioni e fondazioni e nella prassi sono sorte altre figure giuridiche, di carattere intermedio, che hanno poi avuto un riconoscimento normativo.
In particolare le fondazioni tradizionali hanno lasciato il posto alle fondazioni di partecipazione, che hanno innovato profondamente il tradizionale istituto delle fondazioni introducendo due importanti novità:
- la possibilità dei capitali privati di aderire alle fondazioni anche successivamente alla costituzione iniziale
- e la possibilità dei fondatori di allargare a soggetti terzi, i c.d. “partecipanti”, siano essi promotori, aderenti o sostenitori, la gestione dell’ente e delle sue attività.
Questo strumento si è rivelato particolarmente attraente nel settore dei beni culturali perché ha reso possibile una collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, nonché il coinvolgimento delle comunità.
Il Codice del Terzo Settore ha innovato profondamente l’istituto, legittimando una fattispecie fino ad ora presente solo in dottrina e giurisprudenza, dandole una cornice giuridica stabile.
L’articolo 23 D.Lgs. 117/2017, che disciplina la procedura di ammissione e carattere aperto delle associazioni, ha esteso anche alle fondazioni del Terzo settore, il cui statuto preveda la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, la possibilità di accogliere, nel corso della vita dell’ente, nuovi aderenti.
Si tratta pertanto del definitivo superamento del modello fondazionale tradizionale.
L’articolo 22 comma 4 prevede che: “Si considera patrimonio minimo per il conseguimento della personalità giuridica una somma liquida e disponibile non inferiore a 15.000 euro per le associazioni e a 30.000 euro per le fondazioni. Se tale patrimonio è costituito da beni diversi dal denaro, il loro valore deve risultare da una relazione giurata, allegata all’atto costitutivo, di un revisore legale o di una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro”.
Anche qui viene sovvertito uno dei paradigmi che reggeva l’istituto fondazionale: il patrimonio, come recita l’articolo 1, comma 3, D.P.R. 361/2000, deve essere adeguato al raggiungimento della finalità.
Tradizionalmente l’applicazione di questi principi impone che il patrimonio debba essere costituito, prevalentemente o esclusivamente, da cespiti dotati di un valore periziabile o da disponibilità liquide immediate, escludendo erogazioni future di somme di denaro nonché impegni o obbligazioni da parte del fondatore e di terzi.
Nel codice del terzo Settore, il patrimonio assume invece le vesti di capitale sociale che potrà dunque essere accresciuto in vista di conferimenti futuri e di apporti da parte di nuovi soci.
Nell’articolo 24 c.t.s. viene inoltre prevista la possibilità che le fondazioni, al pari delle associazioni, si dotino di un organo assembleare o di indirizzo a cui viene attribuita la funzione di indirizzo generale dell’ente e nel quale vengono, nei limiti in cui ciò sia compatibile con la natura dell’ente quale fondazione e nel rispetto della volontà del fondatore, assunte le decisioni principali della vita dell’organismo.
L’articolo 26, comma 8, c.t.s. dispone inoltre che, nelle fondazioni del Terzo settore, deve essere nominato un organo di amministrazione a cui si applicano le cause di ineleggibilità e di decadenza previste dall’articolo 2382 cod. civ.. Tali amministratori, a seconda del modello di governance prescelto dall’ente, potranno essere eletti dall’organo assembleare.
L’articolo 30 c.t.s. impone poi che nelle fondazioni del Terzo settore deve essere nominato un organo di controllo, anche monocratico.
Il meccanismo di nomina non viene previsto e questo determina un vuoto che deve essere colmato in via interpretativa.
Inoltre le fondazioni del Terzo settore devono nominare un revisore legale dei conti o una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro quando superino per due esercizi consecutivi due dei seguenti limiti:
a) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 100.000,00 euro;
b) ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 200.000,00 euro;
c) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 12 unità.
I controlli e i poteri di cui agli articoli 25, 26 e 28 cod. civ. sono esercitati sulle fondazioni del Terzo settore dall’Ufficio del Registro unico nazionale del Terzo settore.
Il codice del Terzo Settore modernizza profondamente l’istituto delle fondazioni e, nei fatti, rende queste organizzazioni non più vincolate alla espressione del potere individuale del fondatore ma istituzioni in grado di modificare il loro assetto patrimoniale, gestionale e di scopo.
Le fondazioni nel Terzo Settore, al pari delle associazioni, sono inoltre vincolate ad operare in una delle attività di interesse generale elencate nell’articolo 5 c.t.s. e dunque non possono, se costituite come Enti del terzo Settore, perseguire interessi particolari dei fondatori. L’immutabilità dello scopo perde in questa nuova cornice il suo peso e le fondazioni diventano una delle modalità organizzative in cui l’elemento patrimoniale continua ad esercitare la sua rilevanza così come la volontà dei fondatori ma all’interno di una cornice di grande flessibilità che consente di graduare il ruolo ed il peso sia del patrimonio iniziale sia della volontà dei “primi” fondatori.