Le imprese sociali: opportunità e convenienze
di Guido MartinelliTra le ultime iniziative assunte dal Governo Draghi vi è stato l’avvio delle procedure per l’ottenimento della autorizzazione, da parte della Unione Europea, per l’applicazione del titolo X del codice del terzo settore nonché per la disciplina dell’articolo 18 D.Lgs. 112/2017 sulle imprese sociali (comma 9).
Questo consentirà la partenza definitiva anche di questa parte della riforma del terzo settore che, sotto un certo profilo, presenta situazioni di indubbio interesse anche, ad esempio, per il mondo dello sport.
Come è noto, possono essere imprese sociali tutti gli enti privati (quindi anche le associazioni) incluse le società e le cooperative disciplinate dal libro quinto del codice civile che esercitano in via stabile e principale un’attività di impresa di interesse generale (il cui elenco tassativo è previsto all’articolo 2 del citato decreto) senza scopo di lucro “adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e degli altri soggetti interessati alle loro attività”.
Non possono essere imprese sociali le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche e gli enti “i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci e associati”.
Come è noto, la disciplina delle imprese sociali è legata, sotto il profilo fiscale alla possibilità di “detassare” gli utili reinvestiti.
Infatti, ai fini delle imposte dirette, è prevista la detassazione degli utili o degli avanzi di gestione che incrementino le riserve indivisibili dell’impresa in sospensione d’imposta, effettivamente destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio entro il secondo periodo di imposta successivo a quello in cui sono stati conseguiti.
Tra le attività di interesse generale che potranno essere poste in essere dalle imprese sociali è ricompresa anche l’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche; pertanto, l’ipotesi impresa sociale è l’unica possibilità, oggi esistente, per una società sportiva dilettantistica di capitali o cooperativa di diventare ente del terzo settore.
La circostanza che l’impresa sociale sia un ente commerciale a tutti gli effetti e a cui si applicano le norme del reddito di impresa porta a “facilitare” la gestione senza che sia necessario operare il “bilanciamento” tra attività commerciale e non commerciale prevista per gli altri enti del terzo settore. Ciò senza alcun tipo di aggravio sotto il profilo impositivo.
Fra gli oneri aggiuntivi va invece indicato l’obbligo, previsto dal comma 2 dell’articolo 9 della pubblicazione del bilancio sociale.
Per attività, come quella di natura sportiva, resta da chiarire come si possa applicare il principio, posto dal comma 1 dell’articolo 11, che prevede che siano previste: “adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività”.
Va ricordato che, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 89, comma 1, lett. c), D.Lgs.117/2017 le imprese sociali “sportive” saranno gli unici enti del terzo settore a poter continuare ad applicare la L. 398/1991.
Va ricordato, in questo caso, che il comma 3 dell’articolo 3 del decreto sulle imprese sociali prevede la possibilità (quindi non l’obbligo) per detti enti di distribuire una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili o degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti.
Nel caso in cui la nostra SSD impresa sociale abbia previsto in statuto questa possibilità, potrà considerarsi, come recita la norma, ancora una “una società sportiva dilettantistica di capitali senza scopo di lucro” ai fini della applicazione della L. 398/1991. Un chiarimento di prassi amministrativa sul punto appare opportuno.
Ma vi è un altro punto “critico” per il mondo dello sport, nella disciplina delle imprese sociali.
In particolare ci riferiamo all’articolo 2, comma 3, D.Lgs. 112/2017, laddove viene previsto che i proventi derivanti dalla gestione delle attività di interesse generale “siano superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi della impresa sociale”.
E se l’attività di interesse generale prevista dovesse essere quella sportiva, proventi quali: “rapporti di sponsorizzazione, promopubblicitari, cessione di diritti e indennità legate alla formazione degli atleti nonché dalla gestione di impianti e strutture sportive” ai sensi di quanto previsto dal novellato comma 1 bis dell’articolo 9 D.Lgs. 36/2021 saranno da ricondurre alle attività diverse.
Questo potrebbe porre un grosso limite, ad esempio, alla possibilità di utilizzare l’impresa sociale nella attività di gestione di impianti sportivi.
3 Novembre 2022 a 17:27
Buonasera Guido.
Se non ho capito male una cooperativa sportiva dilettantistica, interessata a entrare nel Runts come impresa sociale, potrebbe avere questi ordini di criticità:
– redazione di bilancio sociale (con conseguenti maggiori costi).
– inquadramento dei ricavi da pubblicità e gestione impianti, che nella nuova riforma sport sono escluse dal “cumulo” delle attività secondarie ma che, come ETS, rischiano di sbilanciare la quota del 70% di proventi da attività di interesse generale.
E’ corretto?
In particolare il secondo punto penalizzerebbe fortemente l’ingresso nel Runts.
Grazie
Marcello Campani
Heron Scsd RE
3 Novembre 2022 a 17:55
Purtroppo a mio avviso si. Infatti lo rilevavo proprio come l’ostacolo principale all’ingresso nella disciplina delle imprese sociali da parte delle sportive