5 Luglio 2023

Le indagini finanziarie e la rigorosa verifica giudiziale delle prove

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Nell’ambito del contenzioso tributario, notevole rilevanza riveste la questione relativa alla validità delle prove fornite dal contribuente in seguito all’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario all’esito di verifiche sui conti correnti bancari.

Innanzitutto, occorre precisare che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è considerata legittima, ai sensi dell’articolo 32 D.P.R. 600/1973, l’utilizzazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria dei dati relativi ai movimenti bancari del contribuente, che costituiscono valida prova presuntiva – il che implica che, data la fonte legale, la prova non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici –, anche senza l’indicazione analitica delle singole annotazioni utilizzate per la ricostruzione dell’imponibile, essendo onere del contribuente l’allegazione della prova liberatoria, la quale, avendo ad oggetto le singole operazioni, deve pertanto a sua volta commisurarsi alla natura e alla consistenza degli elementi indiziari contrari impiegati dall’Ente finanziario.

A tale proposito, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’Iva, tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti o addebiti, si presumono, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/1973 e dell’articolo 51, comma 2, n. 2, D.P.R. 633/72 riferiti all’attività economica di quest’ultimo, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e  servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscano ad operazioni imponibili (Cass. Civ., n. 26111/2015).

In altre parole, l’onere probatorio dell’Amministrazione Finanziaria è soddisfatto in ordine ad un accertamento, basato su verifiche di conti correnti bancari, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai predetti conti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla motivazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili.

Tale prova da parte del contribuente può essere data in due modi, ossia dimostrando di averne già tenuto conto nelle dichiarazioni, oppure che si sia trattato di movimenti non fiscalmente rilevanti, in quanto non riferiti a operazioni imponibili.

Quanto alle modalità tramite le quali il contribuente può assolvere all’onere probatorio in questione, la giurisprudenza costante ha precisato che spetta al contribuente indicare e dimostrare la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti.

Contestualmente, all’onere probatorio gravante sul contribuente corrisponde l’obbligo del giudice di merito di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica. Nel compiere detta verifica, il giudice di merito deve rifuggire da qualsiasi valutazione di irragionevolezza e inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso Legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. Civ., n. 21800/2017).

Ma non solo. In mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, dovendo in questo caso il giudice di merito individuare analiticamente gli atti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha precisato, altresì, che “l’applicazione a tutti i contribuenti delle regole presuntive dettate dal citato articolo 32, afferisce ai soli versamenti, mentre all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito d’impresa” (Cass. Civ., n. 18572/2018).

Sulla base di tali presupposti, la Suprema Corte è nuovamente intervenuta con la recente sentenza n. 11509/2023, affermando che è afflitta da vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle prove fornite dal contribuente la pronuncia di merito che abbia omesso di rendere una motivazione analitica sul punto.

Nel caso di specie, infatti, i Giudici di merito si erano limitati ad accorpare le prove per tipologia, omettendo di specificare o illustrare le ragioni della decisione assunta e di precisare su quali prove e sulla base di quali argomentazioni fosse fondato il proprio convincimento.