Le indagini finanziarie e l’obbligo del contraddittorio
di Fabrizio Dominici
L’istituto del contraddittorio si fonda su diritti del contribuente e doveri della pubblica amministrazione, diritti e doveri che a loro volta sono ritratti dai precetti costituzionali.
Infatti da una parte vi è il principio di buona fede e collaborazione, che trova espressione nell’art. 10 e nell’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente e dall’altra vi è il precetto, contenuto nell’art.97 della Costituzione, che si preoccupa del buon andamento ed imparzialità della funzione pubblica.
Il contraddittorio consente così al contribuente di esercitare utilmente ed anticipatamente il diritto di difesa ed alla amministrazione finanziaria di tutelare il buon andamento degli uffici pubblici, contestualizzando la pretesa tributaria alla realtà fattuale del soggetto verificato ed evitando inutili dispendi di tempo ed energie.
Orbene, se è vero che la carenza di una disciplina generale ed il contrastante orientamento della giurisprudenza, non hanno contribuito alla giusta individuazione della posizione giuridica del contraddittorio, è altrettanto vero che talvolta abbiamo preso per “oro colato” quella che, ad alcune sentenze della Corte di Cassazione, è sembrata essere l’interpretazione più corretta del dettato legislativo.
Mi sto riferendo a quelle sentenze che hanno interpretato le norme sulle indagini finanziarie sancendo la non obbligatorietà del contraddittorio.
Sul punto però mi sembra che possano esserci anche altre interpretazioni, oppure se si vuole, una diversa lettura dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, diversa lettura che magari potrebbe portare a condividere una implicita obbligatorietà del contraddittorio.
Infatti, le citate sentenze, hanno ritenuto che la locuzione, “gli uffici possono (…) invitare i contribuenti a comparire”, andasse interpretata come facoltà dell’ufficio di ricorrere all’uno o all’altro dei poteri disciplinati dagli artt. 32 del D.P.R. n. 600/1973 e 51 del D.P.R. n. 633/1972, tra i quali vi è l’impiego delle indagini finanziarie.
Invero chi scrive ritiene che l’art. 32, primo comma, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973, vada letto insieme con il secondo periodo della stessa norma, laddove è espressamente previsto che “gli uffici possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona, per fornire dati e notizie rilevanti..” e che “i dati ed elementi attinenti ai rapporti (…) sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti (…) se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine”.
Come dire che la norma condiziona la rilevanza dei movimenti bancari alla mancata dimostrazione, da parte del contribuente, dell’irrilevanza tributaria degli stessi e ciò vale a dire che tale dimostrazione debba essere fornita in un tempo anteriore alla formazione dell’accertamento, sicché ci parrebbe che non possa proprio condividersi quella interpretazione che propende per la non obbligatorietà del contraddittorio.
Ciò che ci sembra di capire è che se l’ufficio vuole avvalersi dei movimenti bancari, deve convocare il contribuente, il quale potrebbe fornire dati e risultanze diverse da quelle ipotizzate o presunte, poiché i dati ignoti, seppure quantificabili in base alle risultanze bancarie, debbono trovare riscontro nella specifica situazione del soggetto accertato e gli atti accertativi emessi in tanto sono legittimi in quanto siano fondati anche sulla possibilità offerta al contribuente – contraddittorio –, di offrire all’ufficio dati ed elementi di valutazione nell’ambito della istruttoria. Infatti se l’obiettivo dell’amministrazione finanziaria non è quello della massimizzazione del gettito, ma quello della ricerca della giusta capacità contributiva, in correlazione con il principio di corretta amministrazione, non può non riconoscersi anche questa diversa lettura dell’art. 32 che vede l’istituto del contraddittorio, come un diritto del contribuente.
Quale senso avrebbero, al contrario, le sentenze della Suprema Corte, che hanno affermato che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile dei diritti del contribuente anche in assenza di una espressa previsione normativa”, (Cass., SS.UU., sent. 18 dicembre 2009, n. 26635) e quale valore avrebbe la sentenza n. C-349/07 della Corte di giustizia Europea, che ha stabilito “… il diritto di difesa è un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo.” Per dirla con le parole un po’ datate ma che sono ancora molto attuali, “Uno Stato moderno che operi secondo criteri di efficienza e di economia, che non ha timore di porsi su un piede di parità con il cittadino, tanto da formalizzarne e tutelarne i diritti inviolabili nei confronti dell’amministrazione finanziaria non può non tener conto dei precetti costituzionali, dei principi e della giurisprudenza comunitaria che riconoscono la necessità del contraddittorio preventivo anche nella fase amministrativa tributaria” (Cassazione 30 marzo 2001, n.4760).
E poi, se è vero che le sentenze emesse dalla Corte di Giustizia Europea hanno rilevanza processuale ed extraprocessuale, se è vero che esse vincolano le amministrazioni degli Stati membri, non sembra più accettabile affermare che il contraddittorio non sia obbligatorio, ma dipenda solo dalla “sensibilità” del funzionario dell’amministrazione finanziaria.