Le lenticchie nella storia: risorsa proteica e gastronomica
di Paola Sartori – Foodwriter e bloggerQuando si parla di lenticchie, il pensiero corre immancabilmente al cenone di San Silvestro e al pranzo del primo gennaio, perché il loro consumo viene ormai considerato, un segno di buon augurio per soldi e fortuna nel nuovo anno.
Questa usanza risale ai tempi dei romani quando era tradizione regalarle a fine anno, dentro ad un sacchetto di cuoio per monete d’oro, con l’auspicio che il sacchetto si potesse riempire presto di monete vere.
Testimonianze archeologiche attestano come le lenticchie siano i legumi di più antico consumo da parte dell’uomo.
La fama gastronomica di questi piccoli legumi è testimoniata anche da Plino il Vecchio che le descrisse come un alimento di valore capace di donare tranquillità, e da Apicio che consigliava di lessarle insieme al porro ed al coriandolo e di condirle con il vin cotto, una sorta di colatura di alici e miele.
Persero di notorietà durante il medioevo, a causa di opinioni non veritiere in cui si diceva che fossero la causa di problematiche nutrizionali e vennero relegate ad essere consumate solo alla mensa dei poveri.
La fame avrebbe causato danni peggiori!
In questo periodo l’autore di un ricettario salernitano, il “De Flore dietarum”, consigliava di cuocere le lenticchie con aceto, origano, menta, pepe, cumino e olio d’oliva, abbinandole ad una carne grassa fresca per limitare gli effetti malsani.
Aldobrandino da Siena nel 1256 scrisse che, per migliorare la commestibilità dei discussi legumi, bisognava aggiungere in seconda cottura un po’ di menta, prezzemolo, salvia e cumino.
Con il passare dei secoli si affermò la tendenza di cucinare le lenticchie insieme ad erbe aromatiche, buon esempio è il “Libro di Cocina” del XIV secolo dove si consigliava di prepararle con erbe aromatiche e zafferano e poi condirle con uova sbattute e cacio secco, ricetta questa ancora in uso nella cucina campana e siciliana.
Nel 1557 nel suo “Libro Novo”, Cristoforo di Messisbugo consigliava di cuocere le lenticchie al vapore per poi ripassarle in una salsa agrodolce preparata con uva passa, pane, abbrustolito e ammorbidito con vino rosso, miele, cannella e pepe.
Per fortuna dalle mense dei poveri alla saggezza popolare il passo è stato breve e senza ostacoli e, sulle tavole dei contadini, le lenticchie continuarono ad avere il ruolo che meritavano.
Solo grazie a loro oggi in Italia possiamo vantare di avere un vero e proprio patrimonio di varietà, come le famose lenticchie di Castelluccio di Norcia e quelle di Altamura Igp, i PAT e i Presidi Slow Food di Sessanio, Ustica, Roscino, Ventotene, Colfiorito, Villalba, Leonforte e Valle Agricola.
Facili da coltivare e di buon nutrimento, le lenticchie sono state considerate, a lungo e a ragione, la “carne dei poveri”.
Sono ricche di amido, fosforo, ferro, vitamine del gruppo B, fibre, e, soprattutto, proteine vegetali, che, pur essendo di valore inferiore a quelle animali, possono ugualmente raggiungerne la qualità nutrizionale, associandole a cereali o pasta.
E così, forse più per caso che per ponderatezza, in tutte le regioni d’Italia (soprattutto al Sud) vengono utilizzate in tante ricette, abbinandole alla pasta, nelle zuppe invernali con riso e farro, insieme al purè o come ingrediente di deliziose torte salate, crostate e tortini.
La versatilità gastronomica delle lenticchie è confermata anche dall’uso creativo che ne fanno chef stellati ed emergenti quali: Pietro Leeman, Massimo Bottura, Niko Romito, Stefano Mattara, Michele Castelli e Fabrizio Marino.