Le modalità di ravvedimento degli immobili detenuti all’estero
di Francesca BeniniLe persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate fiscalmente residenti in Italia sono tenute, ai sensi dell’articolo 4, D.L. 167/1990, ad adempiere agli obblighi di monitoraggio fiscale nel caso in cui detengano attività, finanziarie o patrimoniali, all’estero.
In particolare, tali soggetti sono tenuti ad indicare nella propria dichiarazione dei redditi (quadro RW):
- gli investimenti all’estero suscettibili di produrre redditi di fonte estera imponibili in Italia;
- le attività estere di natura finanziaria anch’esse suscettibili di produrre redditi di fonte estera imponibili in Italia.
Secondo quanto previsto dall’Agenzia delle entrate (Provvedimento n. 151663/2013 e circolare n. 38/E/2013), le suddette attività devono essere valorizzate mediante l’utilizzo degli stessi criteri validi ai fini Ivie e Ivafe.
Ne consegue che, i contribuenti che detengono immobili situati all’estero sono tenuti ad indicare, nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, il costo di acquisto ovvero di costruzione degli stessi.
In mancanza di tale costo, il contribuente deve fare riferimento al valore di mercato rilevabile al termine di ciascun anno solare (ovvero al termine del periodo di detenzione) nel luogo in cui è situato l’immobile. Tale valore può essere desunto in base alla media dei valori risultanti dai listini elaborati da organismi, enti o società operanti nel settore immobiliare locale.
Tutte le sopracitate regole, tuttavia, non trovano applicazione nell’ipotesi in cui gli immobili siano situati in Paesi appartenenti all’Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni (ossia, Norvegia, Islanda e Liechtenstein).
In tali ipotesi, infatti, il contribuente è tenuto ad indicare nel quadro RW il valore catastale dell’immobile, così come determinato e rivalutato nel Paese in cui lo stesso è situato, ai fini dell’assolvimento di imposte di natura patrimoniale o reddituale.
In mancanza di questo valore, occorre utilizzare il costo risultante dall’atto o dal contratto di acquisto e, in assenza, il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile.
È bene evidenziare che il contribuente non ha la possibilità di scegliere il criterio di valorizzazione dell’immobile più conveniente. Questo significa che il contribuente è tenuto, in primo luogo, a verificare l’esistenza di un valore catastale estero e, solo in sua assenza, a ricorrere al criterio del costo risultante dall’atto di acquisto ovvero, in ultima istanza, al criterio del valore di mercato.
In caso di omessa indicazione dell’immobile nel quadro RW, la violazione è punita, ai sensi dell’articolo 5, D.L. 167/1990, con una sanzione amministrativa pecuniaria che va dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati (ovvero dal 6% al 30% in caso di immobili situati in Paesi black list).
Tale violazione, tuttavia, può essere sanata mediante l’istituto del ravvedimento operoso, di cui all’articolo 13, D.Lgs. 472/1997, ossia mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa e il pagamento di sanzioni ridotte.
È bene evidenziare, tuttavia, che l’articolo 4, comma 3, ultimo periodo, D.L. 167/1990, così come riformato dal D.L. 193/2016, prevede che “gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 non sussistono altresì per gli immobili situati all’estero per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d’imposta, fatti salvi i versamenti relativi all’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, di cui al decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214”.
Ne consegue che, la violazione per omessa dichiarazione dell’immobile sito all’estero deve essere sanata solo ed esclusivamente una volta, senza la necessità di ravvedersi anno per anno, ove la situazione di fatto non sia mutata.
Pertanto, se il contribuente non ha mai indicato nel quadro RW l’immobile estero, è tenuto a versare una sola sanzione, ai sensi dell’articolo 5, D.L. 167/1990, debitamente ridotta secondo le percentuali previste dall’articolo 13, D.Lgs. 472/1997, utilizzando il codice tributo “8911”.
Nel caso in cui, tuttavia, la violazione venga sanata con un ritardo non superiore a 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione originaria, la sanzione da versare è pari a euro 28,67, ossia ad 1/9 della sanzione fissa stabilita in misura pari a euro 258.
Tutte le considerazioni sopra illustrate non valgono per l’Ivie e per i redditi derivanti dall’immobile estero: in queste ipotesi, infatti, le violazioni devono essere sanate per ciascuna annualità.