L’esigenza di coordinamento deriva anche da quanto previsto dall’articolo 5, comma 15-quater, D.L. 146/2021, in tema di modifica del regime Iva da esclusione ad esenzione “per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni ad esse strettamente connesse, effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, a fronte del pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari fissati in conformità dello statuto, in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, nei confronti di soci, associati o partecipanti, di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali”.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 683, L. 234/2021, tale disposizione sarà in vigore dall’1.7.2024: si è, quindi, attuata una penetrante modifica dell’articolo 4 D.P.R. 633/1972 e dell’articolo 10 D.P.R. 633/1972, riconducendo all’interno del campo di applicazione dell’Iva, per quanto in regime di esenzione da imposta, varie prestazioni istituzionali di servizi e cessioni di beni poste in essere da enti associativi (non commerciali) verso i propri iscritti.
Che cosa accadrà quindi? Accadrà che le operazioni istituzionali rese verso gli associati potranno, da un lato, essere escluse da Irpef e, dall’altro, essere soggette a regime Iva, per quanto esenti.
Interessanti, ma sicuramente meno “dirompenti”, sono le disposizioni previste in tema di Irpef.
L’articolo 6 L. 111/2023, afferma, infatti, che il Governo è delegato a prevedere l’adozione di un regime speciale in caso di passaggio dei beni dall’attività commerciale a quella non commerciale e viceversa per effetto del mutamento della qualificazione fiscale di tali attività in conformità alle disposizioni adottate in attuazione della delega conferita dalla legge 6 giugno 2016, n. 106 (lett. g).
L’idea sottesa al testo normativo è quella di mitigare il regime tributario del passaggio di un bene da un ente profit a ente non profit; è forse prematuro comprendere nel dettaglio dove e come potrà mutare l’attuale normativa dei conferimenti di beni (soprattutto immobili), specialmente con riferimento all’allineamento dei valori reali rispetto a quelli fiscali e di bilancio.
Nella Relazione illustrativa di accompagnamento alla L. 111/2023, il Governo ha in ogni caso affermato che l’intento del criterio di delega è di introdurre norme volte ad attenuare il carico impositivo che potrebbe emergere a fronte dell’ingresso dell’ente o di un suo ramo nell’ambito applicativo della disciplina fiscale del Terzo settore e non il contrario; pertanto se un ente (o un suo ramo) si trasforma in non commerciale, il regime dovrebbe esserne agevolato, e ciò a fronte dell’impossibilità tendenziale di successiva realizzazione di un utile ed anche a fronte del regime devolutivo in caso di scioglimento dell’ente di riferimento.
Molto interessante anche l’articolo 8, L. 111/2023, che prevede il graduale superamento dell’Irap, in favore di una sovra-imposta da crearsi con evidenti finalità di gettito.
Il Governo procederà “al graduale superamento dell’imposta, con priorità per le società di persone e le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni”, e come detto istituirà una sovrimposta, assicurando alle regioni un gettito in misura equivalente a quello attuale, da ripartire tra le stesse sulla base dei criteri vigenti in materia di Irap.