Le novità sulla impugnazione di ruoli e cartelle invalidamente notificati
di Angelo GinexLa questione della impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento che il contribuente assume invalidamente notificati risale a diversi anni fa.
Come noto, tale filone giurisprudenziale ha trovato scaturigine con la sentenza n. 19704 del 02.10.2015 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella quale i giudici di vertice hanno affermato che: «Il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale – a causa dell’invalidità della relativa notifica – sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non osta l’ultima parte del comma 3 dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l’invalidità stessa anche prima, giacché l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione».
Di fatto, tale pronuncia ha spianato la strada ai cd. ricorsi al buio, con i quali i contribuenti impugnavano ruoli e cartelle di pagamento contestandone la invalida notifica ed eventuali altri vizi.
Basti pensare che da una recente indagine è emerso che nel 2020, ha avuto tale genesi il 40,6% dei ricorsi in ingresso, ovvero circa 55.000 sui 135.000 totali.
Di qui, pertanto, la volontà di limitare la proliferazione, che ha caratterizzato gli ultimi anni, delle controversie sorte sulla base delle risultanze degli estratti di ruolo.
A tale finalità si deve infatti la recente introduzione del comma 4-bis all’articolo 12 D.P.R. 602/1973 ad opera del D.L. 146/2021.
La novella ha previsto che: «L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».
Appare subito evidente la forte limitazione introdotta dal legislatore, cui hanno fatto seguito i timori che la modifica normativa potesse essere considerata finanche retroattiva, con gravi ripercussioni ed effetti sul contenzioso ancora in essere.
E difatti, a seguito dell’ordinanza di rimessione della citata questione al supremo consesso, è intervenuta la sentenza n. 26283 del 06.09.2022, con cui le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: «In tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3-bis del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215, con il quale, novellando l’art. 12 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della C.E.D.U. e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione».
Ciò significa che, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, la disciplina sopravvenuta trova applicazione ai processi pendenti; tuttavia l’inammissibilità dei ricorsi non sarà automatica.
Si precisa che, in armonia con il principio del giusto processo ex articolo 111 Cost., la dimostrazione del pregiudizio insorto al momento della presentazione del ricorso può essere fornita anche durante il processo.
Altrimenti detto, la novella non comporterà l’automatica inammissibilità dei ricorsi pendenti, ma i contribuenti dovranno dare prova della sussistenza delle ragioni in base alle quali sussisteva un pregiudizio al momento dell’impugnazione.
Da ultimo, alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite che risulta per nulla condivisibile, non resta che continuare a coltivare il contenzioso, proponendo una lettura della norma maggiormente aderente al dettato costituzionale e al diritto europeo, atteso che i giudici di merito possono discostarsi da tale pronuncia e, se del caso, sottoporre la questione alla Corte Costituzionale.