Le nuove regole del lavoro a termine nel D.Lgs. 81/2015
di Luca VannoniNel riordino operato delle tipologie contrattuali, il D.Lgs. 81/2015, in vigore dal 25 giugno, ha disciplinato nuovamente il contratto a termine, recentemente riformato dal D.L. 34/2014: le nuove regole nella sostanza confermano quanto disposto da quest’ultimo, apportando qualche novità che è opportuno mettere in evidenza per i loro risvolti operativi.
Il primo punto che si vuole evidenziare riguarda il limite massimo di durata del contratto a termine. Oltre alla durata massima del singolo contratto, pari a 36 mesi, anche la sommatoria dei contratti intercorsi tra le stesse parti non può superare tale limite, e fino qua nulla di nuovo: rispetto alla disciplina previgente, dove si utilizzava la nozione di mansioni equivalenti, il computo della sommatoria deve essere effettuato in riferimento ai contratti per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale. La novità è presto spiegata: essendo stato eliminato il principio dell’equivalenza dall’art. 2103, molto più restrittivo ai fini della variabilità delle mansioni, correttamente si è proceduto alla sua sostituzione anche in riferimento al contratto a termine e ai limiti massimi.
Da un punto di vista operativo, la conseguenza è che la maggior libertà nella gestione delle mansioni indirettamente ha ampliato, dal 25 giugno 2015, il contatore della sommatoria, ora definito essenzialmente dal livello contrattuale.
Sempre in materia di successione di contratti a termine, il comma 3 dell’art. 19 del D.Lgs. 81/2015 consente al datore di lavoro, che ha raggiunto il limite massimo di 36 per sommatoria, di stipulare un ultimo contratto, per quel livello di inquadramento ovviamente, di durata non superiore a 12 mesi: non è quindi più prevista una delega diretta alla contrattazione per la definizione della durata massima del contratto ulteriore. Ora bisognerà capire il destino delle disposizioni attualmente in vigore della contrattazione collettiva, soprattutto quando la durata massima è inferiore a 12 mesi: il comma citato, infatti, si apre facendo salva la disciplina contenuta nel comma 2, che consente ai contratti collettivi di intervenire in materia di successione del contratto. Pertanto, si ritiene che il limite di 12 mesi possa applicarsi solo ove la contrattazione collettiva non sia intervenuta.
Raggiunti i limiti massimi, alla luce del nuovo testo si ritiene non più possibile utilizzare la prosecuzione oltre scadenza, oggi regolamentata dall’art. 22 del D.Lgs. 81/2015, per periodi fino a 30/50 giorni a seconda della durata dell’ultimo contratto, inferiore a 6 mesi o da 6 mesi in su.
In materia di divieti, il nuovo art. 20 del D.Lgs. 81/2015 appone un’importante novità in riferimento alle unità produttive nelle quali si è proceduto a licenziamenti collettivi che hanno riguardato le stesse mansioni cui si riferisce il contratto a termine: non è infatti più prevista alcuna possibilità di derogare con accordi sindacali a tale divieto, temperato esclusivamente dalla possibilità di assumere con contratti di durata non superiore a tre mesi, ovvero in sostituzione di lavoratori assenti o, infine, per assumere lavoratori iscritti alle liste di mobilità.
Riguardo ai lavoratori stagionali, di cui è confermata l’esclusione dalla regola dei 36 mesi per le sommatorie e dagli stacchi obbligatori tra un contratto e l’altro, 10 o 20 giorni a seconda della durata del primo contratto, viene prevista l’emanazione di un nuovo DM del Ministero del Lavoro che ne identifichi le attività che tipizzino come tali i lavoratori: nell’attesa il riferimento rimane il DPR 1525/63.
Per quanto concerne i limiti quantitativi di utilizzo, oltre a una diversa impostazione della norma rispetto alla disciplina previgente, l’art. 23 del D.Lgs. 81/2015 consente anche alla contrattazione di livello aziendale, con le rappresentanza interne o, se non previste, con le oo.ss. territoriali, di intervenire sulla materia. In assenza, opera il limite legale del 20%.
Sono previste una serie di eccezioni parzialmente coincidenti rispetto alla disciplina previgente, esenti da limitazioni sia in riferimento al 20% legale sia in riferimento al limite contrattuale: in particolare si è abbassata a 50 anni l’età del lavoratore che esclude dal computo. Tale disposizione prevale anche sulle eventuali disposizioni della contrattazione collettiva che prevedevano una età superiore, conformemente alla disciplina previgente (55 anni). Importanti precisazioni in ordine alle sanzioni: il superamento dei limiti quantitativi non può determinare la trasformazione a tempo indeterminato, ma solo l’applicazione di una sanzione amministrativa, confermata nonostante, in una delle ultime bozze del D.Lgs.81/2015, si fosse trasformata in una indennità retributiva in favore dei dipendenti in eccesso.
L’ultima, importante, novità riguarda i criteri di computo: ora l’art. 27 del D.Lgs. 81/2015 fissa una regola generale in base alla quale, salvo diverse espresse discipline, si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.
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