12 Febbraio 2016

Le nuove soglie di punibilità e l’assoluzione con formula piena

di Luigi Ferrajoli
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Con la sentenza n. 891 del 13 gennaio 2016 la Terza Sezione della Corte di Cassazione, in applicazione del nuovo regime penale tributario in vigore dal 22 ottobre 2015 ed in forza del principio del favor rei, ha assolto l’imputato per il reato di dichiarazione infedele con la formula piena “il fatto non sussiste” in considerazione della circostanza per cui l’imposta evasa contestatagli era inferiore alla nuova soglia di punibilità.

In particolare, nel caso in esame, il titolare di un’impresa individuale era stato condannato dal Tribunale di Pinerolo alla pena di un anno e sette mesi per i reati di dichiarazione fraudolenta, ai sensi del disposto normativo di cui all’art.2 del D.Lgs. n.74/00, e di dichiarazione infedele, ai sensi dell’art. 4 del medesimo decreto, con conseguente applicazione della confisca per equivalente, ex art.322-ter c.p.p., sui beni dell’imprenditore.

A seguito della condanna alla summenzionata pena avvenuta in forza dell’applicazione della richiesta di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. e il conseguente procedimento di impugnazione, il caso de quo è giunto all’attenzione della Suprema Corte.

Nel corso del giudizio di legittimità, tuttavia, è stato approvato il D.Lgs. n.158/15 avente ad oggetto la revisione del sistema sanzionatorio, con conseguenze immediate anche sul procedimento in parola, atteso che con tale riforma sono state innalzate le soglie di rilevanza penale previste per il reato di dichiarazione infedele.

Invero, il richiamato decreto ha modificato l’art.4, D.Lgs. n.74/00 in contestazione, sostituendolo – per le disposizioni di nostra attenzione – con il seguente: “Fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante l’indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni“.

In buona sostanza, invariata la misura della sanzione che va da un minimo di un anno ad un massimo di tre anni e immutata anche la condotta – consistente nell’indicazione, in dichiarazione, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo oppure di elementi passivi inesistenti -, la novella va a mutare:

  • i valori dell’imposta evasa, che ora deve essere superiore all’importo di euro centocinquantamila, e quindi non più ad euro cinquantamila;
  • il limite dell’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti al Fisco – finanche attraverso l’indicazione di elementi passivi inesistenti – il quale per essere punibile deve ora essere superiore a tre milioni di euro, e non più a due milioni di euro.

Alla luce di tale quadro normativo, la Suprema Corte ha constatato che la dichiarazione infedele attribuita, nel caso in esame, all’imputato e oggetto dell’accordo ex art. 444 c.p.p. con la pubblica accusa per gli anni d’imposta 2006-2009, risultava inferiore nel quantum alla soglia di punibilità vigente in forza del D.Lgs. n.158/15.

Va da sé che, in applicazione del principio del favor rei, la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza per insussistenza del fatto, con trasmissione degli atti al Tribunale di Torino quanto al residuo reato.

Sul punto, la Terza Sezione penale ha osservato che la formula “il fatto non sussiste” è preferibile a quella “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, ritenendo che quest’ultima possa essere adottata “qualora il fatto non corrisponda ad una fattispecie incriminatrice, in ragione:

  • dell’assenza di una previsione normativa ad hoc,
  • della successiva abrogazione della norma,
  • dell’intervenuta dichiarazione d’incostituzionalità (integrale e non parziale, come nel caso di specie), permanendo in tutti i predetti casi la possibile rilevanza del fatto in sede civile.

Differentemente, la formula “il fatto non sussiste”, che “esclude ogni possibile rilievo anche in sede diversa da quella penale, va invece adottata “quando difetti un elemento costitutivo del reato”, come, appunto, nel caso in esame (principio già affermato dalla Cassazione con sentenza n. 13810/08).

Infine, in riferimento al rapporto tra patteggiamento e confisca, la Suprema Corte ha chiarito che l’accordo ex art.444 c.p.p. avviene tra l’imputato e il PM e concerne il solo aspetto del trattamento sanzionatorio, ma non quello della confisca, per cui “la discrezionalità del Giudice si riespande come in una normale sentenza di condanna” tant’è che il medesimo non è tenuto a rispettare tale eventuale accordo in merito alla citata misura di sicurezza (Cass. n.19945/12).