Le procedure di allerta, forse si potrebbe …
di Claudio CeradiniUna delle indicazioni che il decreto di nomina della Commissione di Esperti, che lo scorso 28 gennaio si è insediata presso il Ministero di Giustizia, contiene, tra le altre che complessivamente tracciano il quadro della riforma della legge fallimentare, è l’invito alla individuazione di meccanismi di allarme finalizzati a favorire l’emersione precoce della crisi.
È questione importante, e, peraltro ci si consenta, nemmeno tanto nuova.
Più volte ci siamo soffermati sulla atavica incapacità, o meglio indisponibilità, dell’imprenditore a, si diceva, “prendere il toro per le corna” subito prima di essere travolti. Le ragioni sono molte e diverse, storiche e culturali da un lato, dimensionali e normative dall’altro. I magnifici anni ’60 e la big wave della crescita economica che ne è seguita, fatta eccezione per la sufficientemente breve parentesi della crisi petrolifera dei primi anni ’70, hanno condotto ad una generale e generalizzata attitudine dell’artigiano e del piccolo laboratorio a crescere, ma troppo raramente ad evolvere verso forme e strutture realmente aziendali. Il risultato troppo spesso è quello di avere officine laboratori, negozi, cresciuti e divenuti semplicemente grandi officine o grandi negozi. Il rapporto Cerved PMI 2014 riferisce con molta chiarezza che su 5,3 milioni di attività operanti in Italia poco più di cinquemila possono definirsi grandi secondo i parametri della Commissione Europea. Significa che nemmeno lo 0,1% delle attività italiane occupano più di 250 dipendenti, generano 50 milioni di euro di fatturato o presentano più di 43 milioni di euro di attivo. Aggiungiamo al quadro il fatto che con riferimento all’aprile del 2015 solo 346 società risultano quotate presso borsa italiana, includendovi anche i 64 pionieri che sono ricorsi al MAC (Mercato Alternativo del Capitale), e lo scenario si arricchisce. Gran parte delle aziende ha origini e radici culturalmente produttive o commerciali che raramente si sono evolute in strutture manageriali capaci di interpretare rapidamente l’andamento di mercati e scenari economici in un mondo in rapida, o meglio rapidissima, evoluzione anche per questi aspetti. Aggiungiamoci il coinvolgimento personale e psicologico, tipico dell’artigiano, oltre che una mai risolta tendenza della burocrazia a rendere assai poco attrattiva la crescita dimensionale, ed il quadro si completa, e certamente non migliora. E si comprende la ragione, o meglio le ragioni, perlomeno sistemiche, che stanno alla base dell’attitudine, apparentemente masochistica, di farsi travolgere dal toro, senza essere a Pamplona. Lungi da noi, sia ben chiaro, permetterci di criticare il tessuto imprenditoriale italiano, che ha consentito nel tempo una crescita in termini sia economici che di benessere straordinaria ed innegabile, ma questi elementi oggi sono un fatto, e certamente una debolezza. I problemi debbono essere compresi e calati nella realtà nel momento in cui se ne cerca una soluzione, quindi inutile perdersi in giri di parole. Immaginare che le cose possono cambiare rapidamente è estremamente difficile. L’investimento è culturale affinché l’attitudine manageriale cresca È preziosissimo ma richiede tempo.
Se l’obiettivo è immaginare una procedura di allerta oggi, nel 2015, credo che lo stimolo debba essere diverso, e tradursi semplicemente in termini di convenienza. L’imprenditore in difficoltà che intervenga prontamente deve poter accedere ad una procedura semplice, poco costosa sia in termini di supporto professionale che di spese di giustizia.
In realtà la Commissione Europea da tempo si occupa dell’argomento. Dalla Risoluzione del 15/11/2011, alla Comunicazione “L’Atto per il Mercato Unico” del 3/10/2012, a quella successiva intitolata “Un nuovo approccio Europeo al fallimento delle imprese ed all’insolvenza”, ed altre fino alla Raccomandazione del 12/03/2014. Il messaggio costante, che per parte peraltro limitata interessa anche il Reg (UE) 848/2015, in GUUE del 5/6/2015 che modifica con decorrenza 26 giugno 2017 l’attuale Reg (CE) 1346/2000 relativo alle procedure transfrontaliere di insolvenza ma di tenore più che altro processuale, è la istituzione di procedure che “garantiscano ad imprese sane in difficoltà finanziaria l’accesso ad un quadro nazionale in materia d’insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza“. La Commissione di Esperti non ha certo bisogno di suggerimenti e conosce perfettamente la raccomandazione. Noi aspettiamo fiduciosi di vedere cosa ne uscirà, ma fin da ora proviamo a sognare uno scenario. Chiunque ci lavori, in questo mondo, sa che l’attuale strumento di gestione precoce non funziona. Il risanamento che passi dal cosiddetto piano attestato ex art. 67, co. 3, lett. d) è una chimera. Per il solo fatto di essere lì collocato è chiaro che serve solo alla cosa oggi più inutile e meno pericolosa, evitare il rischio di una revocatoria, nel successivo fallimento, che a essere sinceri non spaventa più nessuno per come è stata riformata ormai dieci anni fa. Ma di buono quello strumento ha che è rapido, stragiudiziale, economico. Se su quello si convergesse e lo si riformasse? Per esempio, immaginiamo di assegnare al tribunale un ruolo solo se la dimensione del problema lo richiede. Rinforziamo il piano agganciandovi elementi già raccomandati dalla Commissione quali l’efficacia obbligatoria della maggioranza dei creditori, consultati con l’ausilio di un soggetto indipendente, ispirato al supervisor che la stessa raccomandazione cita. Prevediamo la tutela sotto ogni profilo dei finanziamenti necessari, da chiunque eseguiti, o ancora, la sospensione per un tempo limitato delle azioni esecutive. Aggiungiamo anche automatismi nostrani, quali l’accesso alla rateazione tributaria straordinaria delle 120 rate mensili disciplinato dall’art. 19, co.1quinquies, D.P.R. 600/1973, introdotto di recente dall’art. 52, co.1, lett. a), n. 1), del D.L. 69/2013, (L. 98/2013). Oggi il debitore che si trovi per ragioni “estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica” deve passare le forche caudine dei parametri previsti dalla norma. Se l’accesso fosse automatico, e se magari si potesse immaginare l’inapplicabilità di sanzioni ed interessi, lo strumento diverrebbe più conveniente. Ma andiamo più in là e immaginiamoci che siano previsti, a fronte magari di un intervento di ricapitalizzazione personale dell’imprenditore, meccanismi pressoché automatici di immissione di nuova finanza da parte del sistema del credito (senza sperare in obblighi normativi, l’ABI un accordo sulla moratoria l’ha fatto due volte) a copertura di quel fabbisogno che oggi è sempre una coperta corta. Se così fosse, la continuità probabilmente non sarebbe come oggi una vaga e remota speranza, ovviamente solo se il sacrificio richiesto ai creditori fosse modesto, ed entro precisi limiti.
Come vedete peggioriamo, da ottimisti siamo diventati sognatori.
Ma aspettiamo, e vediamo.