Le sanzioni per errata applicazione del reverse charge
di Clara PolletSimone DimitriQuale sanzione si applica per l’errata emissione di una fattura in reverse charge?
A questa domanda risponde l’Agenzia delle entrate con l’interpello n. 301 del 28.04.2021.
Nel caso specifico la società istante (soggetto estero con posizione Iva in Italia e deposito di merci in Italia) chiede come regolarizzare alcune fatture emesse dalla propria partita Iva comunitaria a clienti con partita Iva italiana in reverse charge (articolo 17, comma 2, DP.R. 633/1972), nell’errata convinzione che questi fossero stabili organizzazioni italiane destinatarie delle vendite.
In realtà le società acquirenti, facenti parte di un gruppo, hanno acquistato in Italia non con una stabile organizzazione ma con un’identificazione diretta; pertanto, avrebbero dovuto ricevere dal fornitore estero, tramite la posizione Iva italiana, una fattura con Iva.
Le sanzioni applicabili ai fini Iva per errata emissione di fattura in reverse charge colpiscono in parte il soggetto che ha emesso il documento, ed in parte il soggetto che l’ha ricevuta. Riassumiamo la disciplina sanzionatoria.
In base alla regola generale (articolo 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997) chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero all’individuazione di prodotti determinati, è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. La sanzione non può essere inferiore a 500 euro.
Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, un’imposta inferiore a quella dovuta.
La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo.
In deroga, l’articolo 6, comma 9-bis.2, D.Lgs. 471/1997, stabilisce che, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile, l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, comma 7 e 8, D.P.R. 633/1972, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, D.L. 331/1993, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti D.P.R. 633/1972, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
Pertanto, il cliente che ha assolto l’Iva può detrarla ed il fornitore è soggetto ad una sanzione fissa a partire da 250 euro.
La sanzione compresa tra 250 euro e 10.000 euro è dovuta in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun committente (circolare 16/E/2017, paragrafo 4).
Secondo la risoluzione 140/E/2010 “la violazione, concernente l’irregolare assolvimento dell’Iva a causa dell’erronea applicazione del regime dell’inversione contabile, si realizza di fatto quando viene operata la liquidazione mensile o trimestrale: è in tale sede, infatti, che il cedente ed il cessionario procedono erroneamente alla determinazione dell’imposta relativa alle operazioni attive da «assolvere»“.
Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente.
Diversi sono i casi di inversione contabile, nei quali il debitore di imposta è il cessionario o committente; li abbiamo osservati con l’introduzione dei nuovi codici Natura (N6.x) dal 2021 e Tipodocumento TD16, TD17, TD18 e TD19 obbligatori dal prossimo anno (si veda un precedente articolo).
In particolare, gli articoli citati nell’articolo 6, comma 9bis.2, D.Lgs. 471/1997 sono:
- l’articolo 17 D.P.R. 633/1972,
- l’articolo 34, comma 6, secondo periodo D.P.R. 633/1972,
- l’articolo 74, comma 7 e 8, D.P.R. 633/1972,
- l’articolo 46, comma 1, D.L. 331/1993,
- l’articolo 47, comma 1, D.L. 331/1993.
Si pensi (mutuando l’esempio dalla circolare 16/E/2017, paragrafo 4) alla fattura emessa dall’impiantista che realizza in appalto un impianto idraulico in un giardino, con natura operazione N6.7 inversione contabile – prestazioni comparto edile e settori connessi.
Il codice N6.7 va adoperato nel caso di fattura trasmessa via SdI per prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifici per le quali l’imposta è dovuta dal cessionario, ai sensi dell’articolo 17, comma 6, lett. a-ter) del decreto Iva.
La fattura viene trattata con reverse charge dal cliente che, pertanto, la integra con Iva ed effettua la doppia registrazione negli acquisti e nelle vendite; eventualmente utilizza il tipo documento TD16, ed effettua l’invio allo SdI.
Se il fornitore si accorge, in un secondo momento, che il giardino non è di pertinenza di un edificio, la fattura emessa avrebbe dovuto essere assoggettata ad Iva: la sanzione applicabile sarà quella indicata nell’articolo 6, comma 9bis.2, D.Lgs. 471/1997 eventualmente ravvedibile a norma dell’articolo 13, D.Lgs. 472/1997.
Si tratta, in particolare, di tutte “le ipotesi in cui l’imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile … per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione” […]. In base alla ratio della norma, le disposizioni di cui al comma 9-bis.2 non si applicano, invece, nel caso di ricorso all’inversione contabile in ipotesi palesemente estranee a detto regime. In tale evenienza tornano applicabili al cedente/prestatore e al cessionario/committente, rispettivamente le sanzioni di cui ai citati commi 1 e 8 dell’art. 6”.
Queste disposizioni in deroga non si applicano, ed il cedente o prestatore è punito con la sanzione della regola generale (di cui al comma 1), quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile (anziché nel modo ordinario) è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole.
Nel caso specifico dell’interpello l’Agenzia delle entrate ritiene applicabile la sanzione fissa da 250 a 10.000 euro, in quanto l’istante è caduto in errore a causa di imprecise informazioni fornite dai propri clienti non residenti e l’Iva è stata effettivamente assolta in reverse charge.