19 Dicembre 2015

Le Sezioni Unite a corrente alternata sul contraddittorio preventivo

di Comitato di redazione
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Avvertenza per i Lettori: questo non è un caso controverso.

Per meglio dire, era un caso controverso nella mente delle Sezioni Unite della Cassazione che, in perfetta autonomia, ha provveduto a risolverlo “in proprio”.

Il tema oggetto di discussione crediamo sia chiaro: esiste, oppure no, in capo all’Amministrazione finanziaria, un obbligo di preventivo contraddittorio prima dell’emissione di qualsiasi atto pregiudizievole per il contribuente?

La domanda non appare retorica, né tantomeno trattasi di lana caprina; infatti, ove si potesse aderire ad una tesi positiva, si tratterebbe, con perfetto automatismo, di affermare che l’eventuale avviso di accertamento emesso in violazione del presunto obbligo sarebbe del tutto nullo.

Il livello di attenzione sul tema è stato posto in primo piano dopo che:

  • le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza 19667/2014, hanno affermato, in relazione alla possibilità di iscrizione di ipoteca, che qualsiasi atto pregiudizievole per il contribuente dovesse essere preceduto da un contraddittorio preventivo. In difetto, la pretesa diverrebbe sostanzialmente nulla;
  • la Cassazione (ordinanza 527/2015) ha affermato che le conclusioni raggiunte nel precedente citato delle Sezioni Unite non potessero essere condivise, determinandosi, nei fatti, la paralisi dell’attività dell’amministrazione finanziaria, oltre che dimostrandosi del tutto inutile, il contraddittorio, in alcune fattispecie.

Con la sentenza 24823 dello scorso 8 dicembre, le Sezioni Unite hanno finalmente sciolto il dubbio, con una decisione assolutamente “corposa” che ricostruisce l’intera vicenda, coinvolgendo i precedenti orientamenti e cercando di trovare una soluzione che fosse:

  • compatibile con lo stato dell’arte;
  • giuridicamente sostenibile.

Vediamo subito il principio di diritto che è stato affermato a conclusione della corposa analisi.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, può affermarsi il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Un primo concetto che balza all’occhio è la proposta distinzione tra tributi armonizzati e tributi non armonizzati.

In una ottica meramente giuridica, tale partizione può certamente risultare coerente; meno condivisibile appare, invece, se la guardiamo sotto l’ottica della opportunità e della parità delle parti in causa.

Ma, anche limitando l’attenzione, ai tributi armonizzati, a noi parzialmente stupisce il fatto che la necessità, o meno, del contraddittorio venga valutata a posteriori in merito al probabile esito delle lamentele del contribuente.

Da un lato, ad onor del vero, la lettura appare molto pragmatica.

Per altro verso, tuttavia, si finisce con l’affermare che la illegittimità dell’atto verrebbe sempre punita, ma solo quando il contribuente avesse buone motivazioni da spendere.

Non si tratta, allora, di affermare un principio (come ci era parso di intendere) bensì di negarlo: il contribuente non ha un diritto al contraddittorio preventivo, salvo il caso in cui dimostri che l’operato dell’ufficio gli ha impedito di far valere le proprie legittime ragioni (e ci mancherebbe altro!).

Facendo un passo in più, allora, se il contribuente riuscisse in questa operazione “postuma”, si dovrebbe arrivare a confermare che l’Amministrazione andrebbe condannata ad un gravoso carico per spese di lite, poiché non è stata data l’opportunità al contribuente di difendersi preventivamente all’emanazione dell’atto.

Ma tale conclusione, ancora un volta, sembrerebbe non avere solide basi giuridiche, proprio il fatto che il contribuente non ha un sacrosanto diritto al contraddittorio preventivo.

Ci pare di essere tornati al punto di partenza: l’Amministrazione finanziaria può, il contribuente no.

Eppure, il contraddittorio sembrerebbe ben raccordarsi con il rapporto trasparente sbandierato dallo Statuto del contribuente; casomai, sarebbe stato molto più facile affermare i casi in cui il medesimo confronto non sarebbe di alcuna utilità, vuoi perché già svolto in precedenza (accertamento con adesione, memorie sul PVC, ecc.), vuoi perché la pretesa deriva da una questione non valutativa ma da un semplice riscontro (accertamento parziale, liquidazione automatica, ecc.).

Forse non si giungerà mai ad un Fisco veramente equo e trasparente, ma noi continuiamo a sperarci.