Le Sezioni Unite confermano la rilevanza penale del falso valutativo
di Luigi FerrajoliIl 27 maggio 2016 le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno depositato le motivazioni della sentenza assunta lo scorso 31 marzo, pronunciandosi sulla rilevanza del c.d. falso valutativo di cui agli artt.2621 e 2622 cod.civ., come modificati dagli artt.9 e 10 della L. n.69/15.
In particolare, risolvendo il contrasto giurisprudenziale sorto all’interno della Quinta Sezione Penale, con la sentenza n. 22474/16 la Corte di legittimità conferma che, nonostante l’eliminazione dal reato di falso in bilancio del riferimento ai fatti materiali oggetto di falsa rappresentazione e dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, il falso valutativo continua ad avere rilevanza penale.
Nel caso di specie, un imprenditore era imputato del reato di false comunicazioni sociali in relazione all’avvenuta ricostituzione del capitale sociale di una società fallita tramite l’utilizzo fittizio di somme contabilmente indicate come “anticipazione soci” (in buona sostanza, l’artifizio era consistito nel far figurare i pagamenti come “anticipazione soci” e non come risorse finanziarie percepite a titolo di pagamento).
Atteso l’oscillante orientamento della Cassazione sul punto, con l’ordinanza n. 9186 del 4 marzo 2016, la Sezione Quinta Penale aveva rimesso alle Sezioni Unite la problematica questione se, in tema di false comunicazioni sociali, la novella riformatrice avesse determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie.
A riguardo, si rammenta che la Suprema Corte:
- con la sentenza Crespi, aveva ritenuto che l’intervento espuntivo relativo all’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” fosse da leggere come abrogazione del fatto materiale relativo alle false valutazioni (Cass. n. 33774/15);
- con la sentenza Giovagnoli, aveva argomentato che il sopracitato inciso, avendo “finalità ancillare, meramente esplicativa e chiarificatrice del nucleo sostanziale della proposizione principale”, nulla aggiungesse al concetto di “fatto materiale” e che pertanto tale soppressione non avesse alcun effetto abrogativo (Cass. n. 890/16);
- con la sentenza Banca X, aveva infine riconfermato la portata parzialmente abrogatrice della riforma del 2015, poiché “la nuova formulazione degli artt. 2621 e 2622 cod. civ…ha determinato…una successione di leggi con effetto abrogativo…limitato alle condotte di errata valutazione di una realtà effettivamente sussistente…” (Cass. n. 6916/16).
La decisione delle Sezioni Unite in commento, a sorpresa, abbraccia l’orientamento minoritario ed adotta una posizione del tutto conservatrice.
Invero, sposando l’assunto della richiamata sentenza Giovagnoli per il quale “se si accedesse alla tesi della non punibilità del falso valutativo, si sarebbe in pratica al cospetto di una interpretatio abrogans del delitto di false comunicazioni sociali”, le Sezioni Unite ritengono che, sostenendo tale lettura abrogatrice, le norme in materia di delitti contro la pubblica Amministrazione si presterebbero ad una lettura depotenziata in relazione alla “parte concernente la trasparenza aziendale, quale strumento di contrasto alla economia sommersa e all’accumulo di fondi occulti, destinati ad attività corruttive”.
Secondo la Suprema Corte, se è pur vero che l’atto valutativo comporta necessariamente un apprezzamento discrezionale, nel caso di bilanci, tale attività rappresenta tuttavia “una discrezionalità tecnica”, giacché “le scienze contabilistiche appartengono al novero delle scienze a ridotto margine di opinabilità” e la “valutazione dei fatti oggetto di falso investe la loro materialità”.
Da ciò ne discende che la redazione del bilancio rappresenta attività sindacabile anche con riferimento al suo momento valutativo atteso che tali valutazioni non sono libere ma vincolate normativamente e/o tecnicamente.
Eliminato ogni riferimento alle soglie percentuali di rilevanza contenuto nella vecchia normativa, le nuove disposizioni affidano ora la valutazione “della incidenza della falsa appostazione o della arbitraria preterizione della stessa” al giudice il quale dovrà altresì verificare la potenzialità decettiva dell’informazione falsa contenuta nel bilancio.
Tale potenzialità ingannatoria – a parere delle Sezioni Unite – ben può derivare non solo dall’esposizione in bilancio di un bene inesistente o dalla omissione di un bene esistente, ma anche dalla falsa valutazione di un bene presente nel patrimonio sociale, così concludendo che anche il c.d. falso qualitativo può avere efficacia fuorviante nei confronti del lettore del bilancio.
Alla luce di tali considerazioni, ben si comprende come la Suprema Corte, nel pronunciare il principio di diritto, abbia confermato la sussistenza del delitto di false comunicazioni sociali “con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di ‘valutazione’, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.