Le società di comodo e le imprese immobiliari: un caso “classico”
di Leonardo PietrobonCome noto ormai da molti anni, la disciplina riguardante le c.d. “società di comodo” è stata introdotta nel nostro ordinamento dal comma 1 dell’art. 30 L. n. 724/1994, al fine di perseguire l’ambizioso obiettivo di contrastare comportamenti elusivi, rappresentati dalla “classica” interposizione di una società fittizia, quale soggetto titolare di determinati beni che, invece, rimanevano nella piena disponibilità dei soci della stessa o dei loro familiari. In particolare, secondo quanto disposto dal richiamato dettato normativo — con riferimento all’art. 30 della L. n. 724/1994 – viene attribuita una determinata redditività alle varie poste di attivo patrimoniale proprie di un soggetto diverso dalle persone fisiche e, conseguentemente, viene assunta la qualifica di società di comodo (o non operativa) da quella società — salvo specifiche esimenti — che non raggiunge il volume di ricavi determinato con l’applicazione dei coefficienti di redditività stabiliti dallo stesso articolo. In altri termini, la qualifica di società di comodo è determinata sulla base del confronto tra:
- i ricavi ed altri componenti positivi di reddito effettivamente conseguiti nel periodo d’imposta di riferimento;
- e i ricavi presunti applicando percentuali prestabilite dalla normativa in commento, al valore fiscalmente riconosciuto di determinati beni, quali ad esempio gli immobili, le partecipazioni, ecc.
Con specifico riferimento alle società immobiliari, le situazioni meramente oggettive che, se esplicitate e condivise dall’Agenzia delle entrate, possono consentire la disapplicazione della normativa in commento, sono state esemplificate dalle stesse Entrate nella già citata C.M. n.5/E/2007 e nella C.M. n. 44/E/2007, quali ad esempio:
- la presenza di immobili in corso di costruzione, non idonei a produrre ricavi;
- la dimostrata impossibilità di praticare canoni di locazione sufficienti a realizzare il livello minimo di ricavi;
- l’impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso;
- la temporanea inagibilità dell’immobile;
- l’attesa di autorizzazioni amministrative per l’edificazione, da parte di società proprietarie di aree fabbricabili;
- nell’esistenza di vincoli apposti da leggi regionali per l’edificabilità dei terreni di proprietà della società costruttrice;
- la locazione di immobili a soggetti pubblici con canoni di modesto importo ma soggetti a parere di congruità da parte dell’Agenzia del Territorio.
Si ricorda, inoltre, che la stessa Amministrazione finanziaria con la C.M. n. 25/E/2007 ha indicato che la disapplicazione della norma può, inoltre, avere ad oggetto tutte quelle casistiche nella quali il canone, seppur non “congruo”, risulta tuttavia in linea con le quotazioni rilevabili nella Banca dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI).
Tale ultima indicazione, tuttavia, mette in luce “l’inaffidabilità” dei ricavi minimi determinati in applicazione dei coefficienti della L. n. 724/1994, in quanto, procedendo ad un mero calcolo comparativo dei due risultati, appare evidente come i ricavi da locazione in applicazione dei coefficienti OMI siano di gran lunga inferiori rispetto a quelli determinati in applicazione delle percentuali previste per la normativa società di comodo, a dimostrazione di una totale mancanza di logica economica nell’attribuzione di una redditività ai beni da assumere a riferimento per l’effettuazione del test di operatività. In altri termini, contrapponendo le due modalità di determinazione dei ricavi minimi, appare del tutto evidente, l’assenza di una giustificazione economico-giuridica, alla scelta numerica operata dal Legislatore con la L. n. 724/1994, in ordine all’individuazione delle percentuali da assumere a riferimento per la determinazione dei ricavi (e del conseguente reddito minimo imponibile), per il solo fatto di essere titolari di determinati valori patrimoniali. In conclusione, quindi, anche sulla base delle comparazione con i dati OMI, i coefficienti di «redditività», stabiliti dalla L. n. 724/1994, non possono che essere definiti «apodittici», in quanto privi di un benché minimo riscontro economico-reale.
Le esemplificazioni elencate dall’Agenzia delle entrate, tuttavia, non prendono in alcun caso in considerazione la circostanza che il mancato conseguimento dei ricavi minimi, in applicazione dell’art. 30 L. n. 724/1994, sia costituito dal totale mancato conseguimento di ricavi per mancata locazione di immobili. L’esempio “classico” è rappresentato dalla società immobiliare proprietaria di un unico immobile industriale che, per le caratteristiche costruttive e di collocazione, non è più conforme alle esigenze del mercato immobiliare. In tal caso, come affermato, ad esempio, dalla CTP di Treviso con la sentenza n. 50/08/10, si dovrebbe giungere alla disapplicazione della normativa relativa alle società di comodo, nei casi di mancata locazione dell’immobile e il conseguente mancato conseguimento di ricavi minimi (dello stesso avviso si segnala la sentenza della CTP di Vercelli del 03.04.2013 n. 13 e la CTR Puglia dell’19.11.2013 n. 118).
Le condizioni oggettive di esclusione, quindi, sono da ricercarsi non solo nei casi in cui il canone di locazione sia inferiore alle soglie di Legge – in applicazione della L. n. 724/1994 – per impossibilità di praticare prezzi più alti, ma anche in quelli in cui il fabbricato rimane sfitto, in quanto le sue caratteristiche costruttive e la sua obsolescenza lo rendono inadatto agli scopi industriali o commerciali richiesti dal mercato.
Tali aspetti, risultano essere ancora più marcati se l’immobile sul quale applicare i coefficienti stabiliti dalla L. n. 724/1994 risulta essere un fabbricato industriale, la cui costruzione risale a diversi decenni e sia ubicato in una zona oggetto di realizzazioni analoghe ma di più recente costruzione, tali da soddisfare sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi tutte le esigenze del mercato immobiliare locale.
In altri termini, quindi, un’eventuale istanza disapplicativa della normativa società di comodo o un eventuale contenzioso, possono poggiare su elementi oggettivi, quali a mero titolo esemplificativo:
- la possibilità che anche gli immobili subiscono una sorta di “superamento” tecnologico, che non necessariamente rende inagibile l’immobile stesso, nel qual caso invece si verificherebbe la possibilità di disapplicare la normativa in commento, come indicato dalla stessa Agenzia delle entrate nella C.M. 5/E/2007.
- la circostanza che tale “obsolescenza” tecnologica si manifesta in una scarsa richiesta di locazione dello stesso immobile da parte del mercato;
- la condizione che a parità di canone di locazione, se non anche ad un canone inferiore, un potenziale cliente ha la possibilità di ottenere un immobile di più recente costruzione, con impianti tecnologici ed energetici innovativi, in localizzazione e con distribuzione degli spazi migliore rispetto ad altri immobili, tali da rispondere in modo più efficiente alle proprie esigenze industriali o commerciali ed anche economiche, in termine di contenimento dei costi.