25 Febbraio 2016

Le spese di giudizio seguono la soccombenza

di Alessandro Bonuzzi
Scarica in PDF

Con la circolare n. 38/E/2015, l’Agenzia delle entrate ha fornito i primi chiarimenti sulle novità introdotte dal D.L. 156/2015 di riforma del processo tributario, che hanno trovato applicazione per i giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 2016.

Le nuove norme processuali, infatti, operano – in linea generale – in relazione a tutti i giudizi in corso alla data della loro entrata in vigore non essendo stata ritenuta opportuna una previsione di applicabilità limitata ai soli nuovi giudizi.

In materia di spese di giudizio, l’articolo 9, comma 1, lettera f) del decreto delegato di riforma ha riscritto quasi integralmente l’articolo 15 del D.Lgs. 546/1992.

Il novellato comma 2 ribadisce il principio secondo cui le spese del giudizio tributario seguono la soccombenza.

Ai fini dell’applicazione di questa regola, la circolare n. 38 precisa che secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità “Il soccombente deve individuarsi facendo ricorso al principio di causalità per cui, obbligata a rimborsare le spese processuali è la parte che, con il comportamento tenuto fuori dal processo, ovvero dandovi inizio o resistendo con modi e forme non previste dal diritto, abbia dato causa al processo ovvero abbia contribuito al suo protrarsi” (Cassazione n. 373/2015).

In deroga, il giudice può comunque disporre la compensazione delle spese del giudizio qualora, alternativamente:

  • vi sia stata la soccombenza reciproca;
  • sussistano, nel caso concreto, gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate dal giudice nel dispositivo sulle spese.

Per quanto riguarda la soccombenza reciproca, essa “sottende – anche in relazione al principio di causalità –

  • una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero
  • anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno od alcuni e rigettati gli altri, ovvero
  • quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo” (Cassazione n. 19520/2015).

Le gravi ed eccezionali ragioni, invece, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e devono essere soppesati “alla luce degli imposti criteri della gravità (in relazione alle ripercussioni sull’esito del processo o sul suo svolgimento) ed eccezionalità (che, diversamente, rimanda ad una situazione tutt’altro che ordinaria in quanto caratterizzata da circostanze assolutamente peculiari)” (Cassazione n. 18276/2015).

Sul punto la circolare n. 38 chiarisce che l’obbligo della motivazione non può comunque ritenersi soddisfatto quando la compensazione delle spese deriva da non specificati motivi di equità.

Peraltro, il successivo nuovo comma 2-bis, al fine di scoraggiare le liti temerarie, in tema di condanna al risarcimento del danno per responsabilità aggravata, prevede l’applicabilità dell’articolo 96, primo e terzo comma, c.p.c, secondo cui

  • Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza …
  • In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Infine, occorre evidenziare che, al fine di rispettare il principio della soccombenza e di salvaguardare la parte vittoriosa, il nuovo comma 2-ter specifica che le spese di giudizio comprendono – oltre che il contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti – anche i contributi previdenziali e l’imposta sul valore aggiunto eventualmente dovuti.