Le ultime pronunce sui dirigenti decaduti
di Luigi FerrajoliLa Corte di Cassazione con le tre sentenze depositate in data 09 novembre 2015 (la n. 22800, 22803 e 22810) è intervenuta per la prima volta sulla problematica della validità degli accertamenti sottoscritti da “dirigenti decaduti”, sostenendo che la questione dei dirigenti decaduti e la validità degli atti da essi sottoscritti operano su due piani distinti, posto che la nullità cui si riferisce l’art.42 del d.P.R. n.600/73 va rigidamente intesa. Infatti, l’articolo 42 prevede che gli atti impositivi “sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato” e che “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione”, ma non dispone che, ai fini della valida sottoscrizione dell’atto impositivo, sia necessario in chi ha sottoscritto l’atto o conferito la delega il possesso di una qualifica dirigenziale.
La Suprema Corte ha poi meglio delimitato i confini della questione chiarendo che l’accertamento fiscale è nullo se l’Amministrazione non prova di avere validamente delegato il funzionario che ha firmato l’atto. Nella sentenza n. 24492 del 2.12.2015 la Corte ha, infatti, affermato che nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento, in forza dell’art.42 d.P.R. n.600/73, incombe all’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e la presenza di eventuale delega.
Inoltre, la Suprema Corte ribadisce che in tema di imposte sui redditi, deve ritenersi, in base all’art.42, co.1 e 3, d.P.R. n.600/73, che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell’ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo. Ne consegue che la sottoscrizione dell’avviso di accertamento – atto della p.a. a rilevanza esterna – da parte di funzionario diverso da quello istituzionalmente competente a sottoscriverlo, ovvero da parte di un soggetto da detto funzionario non validamente ed efficacemente delegato, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall’art. 42.
Peraltro, la stessa Corte, nella successiva sentenza n. 25017 del 11.12.2015, ha stabilito la nullità dell’atto di accertamento con delega “impersonale” e cioè contenente solo l’indicazione della qualifica professionale del destinatario, essendo necessario che l’atto o l’ordine di servizio sia corredato dai motivi della sostituzione, dal nome del destinatario e dalla scadenza. La Corte ha spiegato che la delega può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio, purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia) il termine di validità ed il nominativo del soggetto delegato. E non è sufficiente sia in caso di delega di firma sia in caso di delega di funzione l’indicazione della sola qualifica professionale del destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alle generalità di chi effettivamente rivesta la qualifica richiesta. Sono perciò illegittime le deleghe impersonali, anche ratione officii, prive di indicazione nominativa del soggetto delegato.
Con la sentenza n. 25280 del 16.12.2015 la Cassazione ha affermato la nullità dell’accertamento quando l’Ufficio non prova la validità della delega e cioè che la sottoscrizione appartiene ad un funzionario con la nona qualifica. Nel caso di specie, l’atto impugnato pacificamente non era stato sottoscritto dal direttore dell’ufficio né da un funzionario della carriera direttiva dallo stesso validamente delegato.
Infine, con la sentenza n. 381 del 13.01.2016 la Corte di Cassazione ha circoscritto la possibilità del contribuente di impugnare l’atto di accertamento sottoscritto dal falso dirigente, specificando che tale motivo di nullità può essere fatto valere solo con il ricorso di primo grado. Infatti, “la scelta operata dal Legislatore, nella sua piena discrezionalità politica di ricomprendere nella categoria unitaria della “nullità tributaria” indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità-annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui all’art.21 D.lgs. n.546/92, in difetto del quale il provvedimento tributario – pure se affetto da vizi “nullità”- si consolida, divenendo definitivo”. Da ciò deriva che si pone in oggettivo conflitto con il sistema normativo tributario l’affermazione secondo cui, in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo affetto da “nullità”, tale vizio possa comunque essere fatto valere per la prima volta dal contribuente con la impugnazione dell’atto conseguenziale, ovvero che, emergendo il vizio dagli stessi atti processuali, possa, comunque, essere rilevato di ufficio dal Giudice tributario, anche in difetto di norma di legge che attribuisca espressamente tale potere.
Sul tema, in occasione del Forum di Telefisco, l’Agenzia delle entrate ha precisato che l’Ufficio non ha l’obbligo di allegare la delega di firma all’avviso di accertamento o altro atto impugnabile né di depositarla in giudizio. Sullo stesso incombe, invece, l’onere di prova dell’esistenza e validità della delega mediante deposito nel fascicolo di causa in caso di rituale motivo di ricorso sul punto, trattandosi di questione non rilevabile d’ufficio da parte del Giudice.