Le vendite a distanza dei beni nei Paesi UE
di Luca MambrinSulla base dell’attuale formulazione dell’articolo 41, comma 1, lettera b), D.L. 331/1993, costituiscono cessioni non imponibili anche le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni spediti o trasportati dal cedente o per suo conto nel territorio di altro Stato membro nei confronti di cessionari:
- non soggetti passivi d’imposta sugli acquisti intracomunitari;
- che non abbiano optato per l’applicazione dell’Iva nei modi ordinari.
Non rientrano nella disposizione in esame cessioni di:
- mezzi di trasporto nuovi;
- beni soggetti ad accisa;
- beni da installare, montare o assiemare da parte del fornitore o per suo conto.
In merito alle corrette modalità applicative della norma si ricorda che con l’articolo 11-quater, comma 1, D.L. 35/2005, il Legislatore, con l’obiettivo di allineare la disciplina nazionale a quella comunitaria, ha fornito un’interpretazione autentica della locuzione “cessioni in base a cataloghi per corrispondenza e simili” specificando che la stessa va riferita alle “cessioni di beni con trasporto a destinazione da parte del cedente, a nulla rilevando le modalità di effettuazione dell’ordine di acquisto”.
Pertanto, possono essere considerate “vendite a distanza” ed essere soggette alla norma in esame anche le cessioni per le quali l’ordine di acquisto sia stato effettuato direttamente presso la sede del cedente, a condizione che i beni siano comunque spediti o trasportati nello Stato UE di destinazione a cura del cedente o da un terzo per suo conto.
La disposizione non si applica altresì se l’ammontare delle cessioni effettuate in altro Stato membro non ha superato nell’anno solare precedente e non supera in quello in corso 100.000 euro, ovvero l’eventuale minore ammontare stabilito da questo Stato nella propria legislazione interna.
In tal caso è ammessa l’opzione per l’applicazione dell’imposta nell’altro Stato membro dandone comunicazione all’ufficio nella dichiarazione, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, relativa all’anno precedente ovvero nella dichiarazione di inizio dell’attività o comunque anteriormente all’effettuazione della prima operazione non imponibile.
Secondo la norma sopra richiamata, dunque, “le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni” destinate a consumatori finali, sono soggette ad Iva nello Stato di residenza del cedente se l’ammontare delle cessioni di beni spediti o trasportati nell’altro Stato membro non ha superato nell’anno precedente, e non supera in quello in corso, l’importo di 100.000 euro (ovvero l’eventuale minore ammontare stabilito da detto Stato nella propria legislazione interna a norma dell’articolo 34 della Direttiva 2006/112/CE) e salvo diversa opzione da parte del cedente.
Superato il limite di 100.000 euro l’operazione sarà soggetta ad Iva nello stato di destinazione, con obbligo da parte del cedente di identificarsi, se previsto, o di nominare un rappresentante fiscale.
In caso di superamento di tale soglia nel corso dell’anno, le cessioni già eseguite si intendono effettuate nello Stato membro di origine o Stato di residenza del soggetto passivo cedente, mentre quelle effettuate a partire dalla cessione che ha determinato il superamento della predetta soglia si intendono eseguite nello Stato membro di destinazione, con effetto per tutte le vendite a distanza effettuate nella restante parte dell’anno.
Con la risposta all’istanza di interpello n. 255 del 16.04.2021, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito al rimborso Iva nel caso in cui l’imposta sia stata versata erroneamente in Italia da parte di un soggetto che effettua vendite a distanza nell’Unione europea.
L’articolo 11-quater D.L. 35/2005 dispone infatti che “se lo Stato membro di destinazione del bene richiede il pagamento dell’imposta ivi applicabile sul corrispettivo dell’operazione già assoggettata ad imposta sul valore aggiunto nel territorio dello Stato, il contribuente può chiedere la restituzione dell’imposta assolta, entro il termine di due anni, ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs. 546/1992, decorrente dalla data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera. Su richiesta del contribuente, il rimborso dell’imposta può essere effettuato anche tramite il riconoscimento, con provvedimento formale da parte del competente ufficio delle entrate, di un credito di corrispondente importo utilizzabile in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241“.
La circolare 20/E/2006 ha chiarito che la norma in esame consente al contribuente, che abbia già corrisposto indebitamente l’Iva in Italia e che sia chiamato a versare l’imposta anche nel Paese membro di destinazione del bene, di attivare il procedimento del “rimborso anomalo” di cui all’articolo 21 D.Lgs. 546/1992, chiedendo la restituzione dell’imposta assolta entro un termine di due anni, termine da far decorrere dalla data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera.
Da tale data il contribuente ha, dunque, due anni di tempo per presentare istanza di rimborso dell’imposta già assolta in Italia. Per ottenere il rimborso, inoltre, non è sufficiente il mero avvio della procedura di controllo da parte dell’autorità dell’altro Paese membro, ma occorre che quest’ultimo faccia valere la pretesa impositiva tramite notifica del relativo atto di accertamento.
Per i periodi d’imposta non ancora accertati, invece, l’Agenzia ha chiarito che non è ammissibile il ricorso alla dichiarazione integrativa di cui all’articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998, né al rimborso ex articolo 38 D.P.R. 602/1973, in quanto trattasi di disposizioni destinate al recupero delle imposte dirette; non sarà altresì, consentito il ricorso alla dichiarazione integrativa ex articolo 8, comma 6-bis, D.P.R. 322/1998, in quanto l’imposta a debito riportata nelle dichiarazioni annuali presentate è conforme alle fatture emesse nei confronti dei cessionari con riferimento alle quali, stante il decorso dell’anno, non è consentita l’emissione di note di variazione ex articolo 26, comma 3.
Il contribuente può invece chiedere il rimborso in Italia ex articolo 30-ter, comma 1, D.P.R. 633/1972 riproponendo a fini Iva quanto già disposto dall’articolo 21, comma 2, D.Lgs. 546/1992.
In tale caso è possibile richiedere il rimborso dell’Iva non dovuta nello Stato italiano considerando quale dies a quo dal quale far decorre il termine biennale il momento in cui l’imposta è stata assolta in Italia. A tal fine il contribuente deve dimostrare che l’Iva andava versata nel Paese membro di destinazione.