Le vendite a distanza nei confronti di clienti UE
di Marco PeiroloPer le operazioni riconducibili al commercio elettronico “indiretto”, la disciplina applicabile, ai fini IVA, nei rapporti “B2C”, cioè con “privati consumatori”, è quella delle vendite per corrispondenza. Per questa ragione, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 274 del 5 novembre 2009 ha precisato che le corrispondenti operazioni non sono soggette né all’obbligo di emissione della fattura, salvo che la stessa sia richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione della cessione, come previsto dall’art. 22, comma 1, n. 1), del D.P.R. n. 633/1972, né a quello di certificazione dei corrispettivi mediante il rilascio dello scontrino o della ricevuta fiscale, in virtù dell’esonero previsto dall’art. 2, lett. oo), del D.P.R. n. 696/1996.
In un precedente articolo è stato evidenziato che, nel caso in cui i beni siano destinati ad essere trasportati/spediti al di fuori dell’Unione europea, è opportuno non avvalersi dell’esonero previsto dal citato art. 22 del decreto IVA non solo per gestire al meglio i resi, ma anche perché la fattura è richiesta, in dogana, ai fini del vincolo dei beni all’operazione di esportazione. Tale documento, pertanto, deve essere emesso con l’annotazione “operazione non imponibile” e con l’eventuale indicazione della norma, comunitaria o nazionale, di riferimento, così come stabilito dall’art. 21, comma 6, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972. Il fornitore nazionale deve, inoltre, acquisire la prova dell’avvenuta esportazione, di regola costituita dal messaggio elettronico che la dogana di uscita invia alla dogana di partenza al più tardi, salvo casi giustificati da circostanze particolari, il giorno lavorativo successivo a quello in cui i beni lasciano il territorio doganale comunitario.
In caso, invece, di cessione a favore di consumatori finali di altri Paesi membri dell’Unione europea, l’art. 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993 considera non imponibili IVA le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni diversi da quelli soggetti ad accisa, trasportati/spediti dal cedente o per suo conto nel territorio di altro Stato membro nei confronti di cessionari non tenuti ad applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari e che non hanno optato per l’applicazione della stessa.
L’IVA resta, tuttavia, dovuta in Italia se l’ammontare delle cessioni effettuate in altro Stato membro non ha superato nell’anno solare precedente e non supera in quello in corso la soglia di 100.000,00 euro, ovvero l’eventuale minore ammontare al riguardo stabilito da questo Stato a norma dell’art. 34 della Direttiva n. 2006/112/CE (http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/vat/traders/vat_community/index_en.htm). In caso di vendite “sotto soglia”, il fornitore nazionale può comunque optare per l’applicazione dell’imposta nel Paese di destinazione, dandone comunicazione in sede di dichiarazione IVA annuale (rigo VO10).
In merito alla locuzione “cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili”, di cui al citato art. 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993, la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 11-quater, comma 1, del D.L. n. 35/2005, aggiunto in sede di conversione dalla L. n. 80/2005, ha precisato che la stessa deve intendersi riferita alle cessioni di beni con trasporto/sedizione a destinazione da parte del cedente, a nulla rilevando le modalità di effettuazione dell’ordine di acquisto. In pratica, l’applicazione dell’IVA nel Paese di destinazione opera anche quando la cessione sia conclusa presso il punto di vendita del fornitore, purché il relativo trasporto/spedizione sia curato da quest’ultimo o da terzi per suo conto (circolare dell’Agenzia delle Entrate 13 giugno 2006, n. 20, § 3 e risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 31 marzo 2005, n. 39).
Operativamente, per le vendite “sopra-soglia” o per quelle effettuate a seguito dell’opzione per l’applicazione dell’IVA nel Paese di destinazione, il fornitore italiano deve identificarsi ai fini IVA (direttamente o per mezzo di un rappresentante fiscale) nello Stato membro di destinazione dei beni e addebitare la relativa imposta, calcolata con l’aliquota vigente in tale Stato.
A tal fine, è possibile emettere un’unica fattura valida ai fini sia italiani, sia del Paese di destinazione, con indicazione:
- in luogo dell’ammontare dell’imposta, che si tratta di operazione non imponibile e con l’eventuale specificazione della relativa norma, comunitaria o nazionale (in quest’ultima ipotesi, l’art. 41, comma 1, lett. b), del D.L. n. 331/1993);
- dell’imposta estera.
Nell’ipotesi considerata, il fornitore nazionale emette la fattura in triplice copia, di cui una per il cliente e una per la posizione IVA locale, e – come indicato dalla C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464 (§ B.2.1) – presenta il modello INTRA 1-bis ai fini fiscali e ai fini statistici, in relazione al periodo (mensile o trimestrale) in cui la fattura è registrata o soggetta a registrazione, senza compilare la colonna 3 (codice IVA dell’acquirente).
Come anticipato, per le vendite “sotto-soglia”, l’imposta resta dovuta in Italia sempreché il fornitore non abbia esercitato l’opzione per l’applicazione dell’IVA nel Paese di destinazione.
Trova, pertanto, applicazione la disciplina prevista per le vendite per corrispondenza effettuate nei confronti di consumatori finali italiani, per cui le operazioni in esame non sono soggette né all’obbligo di emissione della fattura (se non richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione), né a quello di certificazione mediante rilascio di scontrino o ricevuta fiscale. I corrispettivi delle vendite devono essere, però, annotati nel registro di cui all’art. 24 del D.P.R. n. 633/1972 e, in sede di liquidazione periodica, si effettuerà lo scorporo dell’IVA dai corrispettivi.