Le vendite online del vino: problematiche fiscali e soluzioni giurisprudenziali
di Luigi FerrajoliIl regime fiscale delle vendite a distanza, già caratterizzato da una normativa piuttosto scarna e frastagliata, soffre di talune eccezioni, tra cui le vendite online di beni soggetti ad accisa, spediti o trasportati dal cedente.
De iure condito, per tali tipologie di transazioni il luogo impositivo non dipende dalla condizione relativa all’ammontare delle vendite effettuate nello Stato Membro di destinazione, ma soltanto dal soggetto che organizza il trasporto o la spedizione dei beni.
Se quest’ultimo è curato dal cedente, l’Iva è dovuta nel Paese di destinazione, mentre se la spedizione è curata dal cessionario non residente, l’operazione resta soggetta ad Iva in Italia.
Sul punto non appare superfluo sottolineare come la risalente normativa unionale non sia stata, nonostante il settore di riferimento sembri quasi imporlo, accompagnata da efficaci e chiari documenti di prassi; si consideri, ad esempio, che l’operatore chiamato ad affrontare qualsivoglia problematica interpretativa sul tema risulta costretto addirittura a far riferimento alla risoluzione AdE 39/E/2005, con la quale, illo tempore e con riferimento ad un contesto di mercato evidentemente oggetto di profonde e copernicane modifiche, l’Agenzia delle Entrate aveva avuto modo di precisare che nell’ambito delle “vendite a distanza caratterizzate non solo dalla circostanza che l’acquisto è perfezionato da un soggetto privato ma soprattutto dal fatto che il trasporto della merce venduta è effettuato direttamente a cura del fornitore o per suo conto (…) la cessione è da intendersi non imponibile anche se avviene nello stesso punto di vendita del soggetto fornitore”.
Al riguardo non servono a fare chiarezza le disposizioni contenute nell’articolo 41, comma 2, lettera c), D.L. 331/1993, poiché non completamente aderenti alle nuove disposizioni introdotte dalla Direttiva UE 2017/2455, la quale, a decorrere dal 1° gennaio di quest’anno, ha introdotto un sistema di responsabilità solidale a carico del marketplace per il mancato pagamento dell’imposta sul valore aggiunto.
Introducendo tale norma, il Legislatore unionale considera la piattaforma digitale come soggetto passivo di imposta, introducendo un concetto in parte confliggente con i criteri di esigibilità territoriale in tema di Iva.
In altri termini, mentre l’ordinamento interno sembra orientato, in tema di vendite a distanza di prodotti soggetti ad accisa, a stabilire la rilevanza territoriale dell’operazione ai fini Iva in ragione delle modalità di trasporto, la novella comunitaria introduce un criterio, sicuramente più aderente alle pratiche modalità di sviluppo del commercio elettronico, che appare di contro ancorato ai requisiti soggettivi di coloro che animano l’operazione, e tra questi introduce a pieno titolo i marketplaces.
La dicotomia è ancora più evidente se si considera il commercio online del vino, da sempre fiscalmente trattato in ragione della presenza o meno presso il luogo di destinazione di un magazzino di stoccaggio e consegna del cedente, è ora rimasto orfano di tale certo, per quanto vetusto, criterio oggettivo.
Residuano non poche perplessità circa il corretto inquadramento fiscale, ad esempio, di una vendita online effettuata dal cedente attraverso l’invio dal proprio magazzino del prodotto; detta evenienza – che si ricorda determina, in ambito Ue, l’obbligatorietà dell’apertura di una posizione Iva (cd. “identificazione diretta”), da parte dell’impresa italiana, nel Paese di invio della merce (ad eccezione della Francia, nel caso di beni che vengono ceduti entro 3 mesi dal loro arrivo in Francia) – a stretto rigore imporrebbe al marketplace, che ha tra le proprie linee di business la vendita del vino, l’apertura di una partita Iva per ogni Paese di destinazione.
Tale obbligo, peraltro, appare assolutamente funzionale a garantire il regime di solidarietà introdotto dalla novella comunitaria, poiché in diversa ipotesi non si comprende come la discendente responsabilità potrebbe essere fatta valere dal Paese di destinazione inciso dalla frode Iva eventualmente accertata dalle Autorità di controllo nazionali.
Sul punto non offre valide chiavi interpretative il testo del D.L. 135/2018, con il quale il Legislatore interno ha frettolosamente e solo parzialmente recepito le novità introdotte dalla Direttiva UE n. 2017/2455, che ha – in definitiva – incomprensibilmente privilegiato la disciplina inerente a settori industriali molto meno importanti rispetto al fiorente business vitivinicolo di matrice italica.