Lease back con effetti fiscali ordinari
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariIl sale and lease back è formalmente un accordo (atipico, in quanto non disciplinato dal codice civile) composto da un’operazione di vendita di un bene (sale) e contestuale stipula di un contratto di locazione finanziaria finalizzato al mantenimento del bene nella disponibilità del soggetto che in origine lo deteneva in proprietà, con possibilità di riscatto finale a seguito del quale il bene torna ad essere iscritto nell’attivo del soggetto che in precedenza lo ha ceduto. L’obiettivo sottostante all’operazione è di carattere finanziario, poiché consente il reperimento di risorse finanziarie pur mantenendo la disponibilità fisica del bene, che costituisce la garanzia a fronte della concessione del finanziamento. Sia la giurisprudenza consolidata, sia la stessa Amministrazione finanziaria (C.M. n. 238/E/2000), hanno qualificato l’operazione nell’ambito dei contratti d’impresa che non integrano di per sé una fattispecie fraudolenta.
Civilisticamente, infatti, si tratta di un’operazione unitaria, poiché la vendita e la retrocessione del bene in leasing perseguono l’anzidetto obiettivo finanziario di reperimento di risorse in capo al cedente-utilizzatore. Tale visione ha portato il legislatore civilistico a modificare le disposizioni del codice civile in materia, ed in particolare l’articolo 2425-bis secondo cui “le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione” (comma aggiunto dal D.Lgs. n. 310/2004). La modifica, come si legge dalla Relazione al citato decreto, trova la sua ragione nel principio della prevalenza della funzione economica dell’operazione rispetto all’aspetto formale, ed è in linea anche con quanto disposto dal principio contabile IAS 17, con la conseguenza che la plusvalenza deve essere ripartita lungo la durata del contratto, e ciò in applicazione anche del criterio, declinato dalla competenza, di correlazione tra costi e ricavi. L’impostazione prospettata è altresì coerente con quanto previsto dal principio contabile OIC 1, che stabilisce l’imputazione della plusvalenza in questione in base al principio di competenza, con conseguente rilevazione di un risconto passivo per la quota della stessa di competenza degli esercizi successivi a quello in cui la stessa è realizzata. Tale tecnica contabile, infatti, consente di ripartire il provento negli esercizi di durata del contratto.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, la plusvalenza derivante dalla cessione del bene in esecuzione del contratto di lease back va imputata secondo le regole ordinarie dell’articolo 86 del Tuir, e non lungo la durata del contratto stesso. La fattispecie è stata oggetto di esame da parte del Fisco in diversi documenti di prassi (C.M. n. 218/2000, risoluzione n. 237/2009 e circolare n. 38/2010), che non hanno riconosciuto l’unitarietà dell’operazione di lease back, bensì hanno ritenuto che l’operazione sia scomponibile in due momenti distinti: la cessione del bene alla società di leasing, da cui può originare una plusvalenza o una minusvalenza rilevante fiscalmente, e la successiva concessione del bene in locazione finanziaria, i cui canoni sono deducibili secondo le regole stabilite dall’articolo 102 del Tuir. Secondo la circolare n. 38/2010, quindi, la plusvalenza rileva secondo le regole ordinarie dell’articolo 86 del Tuir, ed è imponibile per intero nell’esercizio di realizzo, ovvero rateizzabile in cinque periodi d’imposta, compreso quello di realizzo, se il bene è detenuto da almeno tre anni, come stabilito dal comma 4 dello stesso articolo 86.
Si determina dunque un disallineamento tra imputazione civilistica della plusvalenza, che deve avvenire lungo la durata del contratto, e imponibilità fiscale, con conseguente possibilità di iscrizione di un credito per imposte anticipate calcolato sulla differenza tra la plusvalenza fiscalmente imponibile e quella di competenza civilistica. Tale credito è recuperato negli esercizi successivi, quando la quota di plusvalenza civilistica non sarà rilevante fiscalmente, poiché già tassata in precedenza (ad esempio, in caso di plusvalenza rateizzata, dal sesto anno fino alla scadenza del contratto). La tesi sostenuta dall’Agenzia è stata oggetto di critiche; in particolare la circolare n. 2/2007 dell’Unione nazionale dei dottori commercialisti ha evidenziato l’unitarietà dell’operazione di lease back, con conseguente rilevazione del componente positivo (plusvalenza) lungo la durata del contratto, trattandosi di componente correlato al costo rappresentato dai canoni di leasing.
Tale impostazione, tra l’altro, rispecchia anche il principio di derivazione del reddito d’impresa dalle risultanze di bilancio, come previsto dall’articolo 83, comma 1, del Tuir, e risulta avallata anche dalla CTP di Modena del 12 gennaio 2011, n. 5, proprio in relazione al predetto principio di derivazione, che secondo i giudici di merito deve prevalere per la tassazione della plusvalenza.
Infine, nell’ipotesi in cui dalla cessione del bene alla società di leasing emerga una minusvalenza a “valore di mercato”, la circolare n. 38/2010 precisa che la stessa sia deducibile nell’esercizio di realizzo, nei limiti di quanto imputato a conto economico, ai sensi del combinato disposto dagli articoli 101 e 109, comma 2, lettera a), del Tuir.
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28 Settembre 2016 a 8:47
Principio del favor rei escluso… Inconcepibile applicare la vecchia normativa fino al 10 maggio per i Paesi già compliance sullo scambio di informazioni prima del 31.12.2014… A me non sembra un’interpretazione ma una riscrittura delle leggi.
Un caro saluto e buon lavoro, Alessandro
29 Settembre 2016 a 14:31
Secondo il mio parere essendo intervenuta con D.Lgs. 14 settembre 2015 n.147 la soppressione dell’obbligo di indicazione dei costi black list , e, conseguentemente, la inesistenza di una sanzione, in forza del principio di legalità l’Agenzia non potrebbe chiedere la sanzione del 10% perché ritenuta illegale.