29 Marzo 2014

L’efficacia del giudicato penale nel processo tributario

di Massimiliano TasiniPatrizia Pellegrini
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Con l’entrata in vigore del D.Lgs 74/2000 i rapporti tra procedimento penale e procedimento tributario trovano compiuta disciplina nelle disposizioni recate dagli artt. 20 e 25 della novella legislativa citata.

In particolare, l’art. 20 vieta la sospensione del procedimento tributario in pendenza di un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti, ovvero fatti dal cui accertamento dipende la definizione della vicenda tributaria.

Dal canto suo, l’art. 25, esplicitamente abrogando l’art. 12 della L. 516/82, ha cancellato il principio in base al quale la sentenza penale irrevocabile aveva autorità di cosa giudicata nel processo tributario in relazione ai fatti materiali oggetto del giudizio penale, il che vale ad escludere qualsiasi rapporto di pregiudizialità tra i due procedimenti (penale e tributario).

Il riformulato art. 654 c.p.p. è oggi la norma che disciplina l’efficacia del giudicato penale nei confronti del procedimento tributario. Esso statuisce che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione o di condanna fa stato nel processo civile ed amministrativo (e, dunque, anche in quello tributario) solo nei confronti dei soggetti che abbiano formalmente partecipato al processo penale (limite soggettivo) ed all’ulteriore condizione che i fatti ivi accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purchè la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa (limiti oggettivi).

A tal riguardo, il Ministero delle Finanze, nella propria Circolare 154/2000, ha ammesso la possibilità che il giudicato penale faccia stato nel processo tributario nella sola ipotesi in cui la pronuncia del giudice penale non sia frutto dell’utilizzo di prove non ammesse nel processo tributario giusta previsione dell’art. 7/546, il quale vieta la prova testimoniale, ed esclude il giuramento. Al contempo, nel processo tributario assumono valenza probatoria le presunzioni, sia assolute, che relative, e financo quelle semplicissime, tutte non idonee a sostenere la responsabilità penale dell’imputato, atteso che il principio di non colpevolezza enunciato dall’art. 27 della Costituzione vincola la pronuncia di una sentenza di condanna alla certezza della colpevolezza dell’imputato.

Le limitazioni alla prova pongono, dunque, il problema del possibile contrasto tra giudicati.

Un consolidato orientamento della Suprema Corte, tuttavia, pur non riconoscendo autorità di cosa giudicata alla sentenza penale, afferma che il giudice tributario, nell’esercizio dei propri poteri autonomi di valutazione ex art. 116 c.p.c., è comunque legittimato a valutare il materiale probatorio proveniente dal procedimento penale ed acquisito agli atti, al fine di verificarne la rilevanza ai fini fiscali (Cass. 10269/2005. Precedente conforme, Cass. 12577/2000 per la quale: “Il risultato raggiunto in sede penale non rappresenta un qualcosa di completamente avulso dal gravame tributario, in quanto il giudice tributario può legittimamente fondare il proprio convincimento sulle prove acquisite nel giudizio penale, purchè proceda ad una propria ed autonoma valutazione degli elementi probatori”).

Nell’ipotesi del patteggiamento (art. 444 c.p.p.), la Corte di Cassazione si è spinta oltre, affermando che: “La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento.(Cass. 2213/2006).

In tema di sanzioni, è la norma recata dall’art. 19 del D. Lgs citato a garantire l’unitarietà del sistema, stabilendo che quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del Titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa si applica la disposizione penale”. (Sul punto, si rimanda al precedente intervento: “Principio di specialità in campo penal-tributario” in EC News del 06/03/2014).