Legge di stabilità: rivalutazione dei beni aziendali
di Adriana Padula
In cantiere la riapertura dei termini per la rivalutazione di beni aziendali dei soggetti IRES che adottano i principi contabili nazionali nella redazione del bilancio. Il disegno di legge di Stabilità 2014, all’art. 6, commi da 8 a 15, apre alla facoltà di riallineare i saldi contabili dei cespiti e delle partecipazioni ai valori correnti, con possibile riconoscimento fiscale dei plusvalori e affrancamento del saldo attivo di rivalutazione. Le determinazioni contenute nel disegno di legge ricalcano per grandi linee quelle riportare nella L. 13 aprile 2001, n. 342, a cui più volte il testo della finanziaria fa rinvio.
Sul piano oggettivo, le nuove disposizioni ammettono alla rivalutazione le immobilizzazioni materiali e immateriali, strumentali e non, e le partecipazioni di controllo e collegamento risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2012. Rimarrebbero esclusi gli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa (c.d. immobili “merce”).
La rideterminazione dei valori dei beni aziendali per adeguamento ai valori correnti deve essere eseguita nell’esercizio 2013 e deve necessariamente riguardare tutti i beni rientranti in una stessa categoria. E’ consentito attribuire valenza fiscale ai plusvalori emersi in sede di rivalutazione mediante pagamento di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, fissata nella misura del 16 per cento per i beni ammortizzabili e del 12 per cento per i beni non ammortizzabili. Il riconoscimento fiscale del maggior valore attribuito ai beni, decorrerebbe tuttavia dal terzo esercizio successivo a quello di riferimento, ovvero dal 2016. Solo da tale data, pertanto, i contribuenti saranno ammessi alla deduzione di maggiori ammortamenti commisurati al valore rivalutato dei cespiti. In aggiunta, l’eventuale cessione dei beni rivalutati, la loro assegnazione all’imprenditore o a familiari di questi per farne un uso personale, ovvero la loro distrazione dalle finalità dell’esercizio d’impresa, in un periodo anteriore all’inizio del 4° anno successivo alla rivalutazione, comporterebbe il disconoscimento dei saldi emersi dalla rivalutazione e la determinazione della plusvalenza sulla base del costo originario de bene.
Dal riallineamento dei valori contabili ai valori correnti dei cespiti, inoltre, discende un saldo attivo di rivalutazione. Tale differenziale positivo, infatti, sotto il profilo civilistico mantiene natura vincolata a quella del patrimonio netto e può essere contabilizzata a incremento del capitale sociale ovvero, alternativamente, destinato ad apposita riserva denominata. Il comma 11, dell’art. 6 della legge finanziaria, dispone in merito alla possibilità di affrancamento del saldo attivo di rivalutazione, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito e dell’Irap, della misura del 10 per cento. La riserva appostata in bilancio costituisce, pertanto, riserva “in sospensione di imposta” con possibilità di essere liberamente portata ad incremento del capitale sociale ovvero utilizzata per la copertura delle perdite. Indipendentemente dalla modalità di contabilizzazione prescelta, la distribuzione del saldo attivo in favore dei soci o partecipanti all’impresa, fa scattare la tassazione tanto in capo ai soci che alla società.
Le suddette imposte sostitutive sono versate in tre rate annuali di pari importo, senza applicazione di interessi, entro il termine per il versamento del saldo delle imposte sui redditi. La prima scadenza utile ricorrerebbe, quindi, a giugno 2014.
Le disposizioni in commento, non rappresentano una novità nel nostro ordinamento. Se da un lato la finalità istitutiva è quella di garantire la ricapitalizzazione delle imprese italiane, è dall’altro palese che il legislatore si preoccupi di rimpinguare le casse coi flussi derivanti dall’incameramento delle imposte sostitutive sui saldi delle rivalutazioni per opzione, senza curarsi della efficacia di tali strumenti per il sostegno delle attività economiche.
In una fase congiunturale sfavorevole come quella corrente, i contribuenti che sempre più spesso si trovano a fronteggiare bilanci con saldi di chiusura negativi, non trarrebbero di fatto alcuna utilità dalla possibilità di portare in deduzione maggiori ammortamenti, per effetto del riconoscimento fiscale del valore rivalutato dei cespiti. A ciò si aggiunge che gli operatori potrebbero beneficiare della rideterminazione della plusvalenza da alienazione sulla base dei valori oggetto di rivalutazione, solo a far data dal 2018; termine, quest’ultimo, che nelle attuali contingenze, si scontra con l’esigenza di smobilizzare investimenti durevoli per trarne sollievo finanziario. Tali vincoli sono ancor più gravosi se si considera che oggetto di alienazione potrebbero essere non solo immobili ma cespiti diversi, soggetti ad un più celere processo di decadimento dell’utilità economica e funzionale. Si dubita, inoltre, che tale strumento possa risultare di qualche efficacia se applicato alle partecipazioni, giacché la rivalutazione coinvolge esclusivamente le poste immobilizzate. I soggetti IRES, infatti, sono già ammessi a fruire del regime di esenzione parziale delle plusvalenze realizzate su partecipazioni (c.d. partecipation exemption), a norma dell’art. 87, del DPR n. 917/1986, alle condizioni ivi prescritte. E’ pertanto auspicabile che in sede di discussione del disegno di legge di Stabilità, il testo si scardini dallo schema cotto e decotto utilizzato nelle precedenti norme sulla rivalutazione, e che venga invece adattato all’attuale contesto storico ed economico e alle effettive esigenze dei contribuenti.