Legittima la curiosità del fisco sui conti correnti
di Giovanni ValcarenghiDoppio approccio alle indagini finanziarie: da un lato, il Legislatore della Delega fiscale depotenzia le presunzioni legate ai prelevamenti (per gli imprenditori) ed ai depositi sui conti correnti (per i lavoratori autonomi) e, per altro verso, si conferma sempre più la libera possibilità dell’amministrazione di analizzare i contenuti e le movimentazioni dei conti correnti dei contribuenti.
Questa è la riflessione che pare possibile sviluppare in questi giorni, in particolar modo prendendo spunto dalla recente sentenza n. 15807 depositata lo scorso 27 luglio dalla Cassazione.
La vicenda riguarda il necessario rispetto di talune formalità da parte dei verificatori in occasione della richiesta di dati ed informazioni agli istituti di credito presso i quali il contribuente intrattiene rapporti di natura finanziaria. Così, era capitato che la CTR Lazio avesse accolto l’appello di una persona che lamentava la nullità dell’avviso di accertamento in quanto non recante la copia della autorizzazione della DRE e non menzionasse la motivazione delle avviate indagini finanziarie.
La Cassazione, invece, accogliendo il ricorso dell’Agenzia è stata lapidaria nell’affermare come sia ormai consolidato un orientamento palesemente contrario, fondato sui seguenti principi:
- l’espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente (Cassazione n.16874/2009);
- in tema di accertamento delle imposte l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perché la medesima, nonostante il “nomen iuris” adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo; tipologie di atti per i quali, rispettivamente, l’art. 3, comma primo, della legge 7 agosto 1990, n.241, e l’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, prevedono l’obbligo di motivazione (Cassazione n.14026/2012 e 5849/2012);
- affinché l’erario possa utilizzare il risultato di accertamenti bancari effettuati nei confronti del contribuente è necessario che tali accertamenti siano stati debitamente autorizzati, ma non anche che il provvedimento di autorizzazione (la cui illegittimità può essere fatta valere dinanzi al giudice tributario soltanto quando venga ad inficiare il risultato fiscale del procedimento, e quindi l’accertamento tributario) venga esibito al contribuente (Cassazione 15 giugno 2007, n. 14023, 21 luglio 2009, n. 16874, 25317/14, 28039/2013, n.10675/2010, n.16874/2009, n. 14023/2007, n.20420/2014, n. 25771/2014 e n.25770/2014).
Quindi, possiamo certamente piantare una bandierina in modo ben saldo: sperare di superare l’anomalia di eventuali operazioni transitate sui conti unicamente per difetti di forma pare un risultato davvero difficile da conseguire.
E, peraltro, dobbiamo anche tentare di avanzare su una strada di massima trasparenza di ragionamento; infatti, se continuiamo a sbandierare la necessità di alleggerimento delle presunzioni inserite nella vigente normativa (da quelle relative ai prelievi o ai versamenti, a quelle degli studi di settore e delle società di comodo, ecc.) non possiamo non avere la forza di affermare che il contribuente che risulti pizzicato con movimentazione strane sui conti correnti non possa pensare di farla franca per meri vizi di forma.
Non si vuole intendere, sia ben chiaro, che non vadano rispettati i procedimenti e le cautele imposte dall’ordinamento, ma ben più semplicemente che una strategia difensiva meramente formalista è destinata a manifestare tutta la propria debolezza nel lungo periodo.
Aggiungiamo anche che, oggi, l’amministrazione dispone di informazioni relative ai saldi iniziali e finali dei conti correnti, dai quali può facilmente emergere un differenziale di movimentazioni riferibili all’anno; sarà allora logico attendersi che movimentazioni anomale di tali valori determineranno, con tutta probabilità, l’attivazione di controlli sui soggetti interessati senza che vi sia la necessità di pretendere particolari motivazioni nei provvedimenti autorizzativi delle indagini finanziarie.
Pertanto, possiamo trarre una sorta di direzione di massima per il futuro in merito ai depositi bancari; i veli (o presunti tali) che si pensavano potessero sussistere nel passato sono ormai assolutamente trasparenti e non deve stupirci il fatto di poter essere chiamati a rendere conto di operazioni “non logiche”.
Pensandoci bene, dovremmo tutti felicitarci di un tale cambiamento (se davvero verrà realizzato), per il sol fatto che è molto più semplice spiegare transazioni reali (o, in alcuni casi, arrendersi alla loro contestazione, se indifendibili) piuttosto che lottare contro strumenti impenetrabili (come gli studi di settore) o ormai arcaici (come le percentuali delle società di comodo). Se così dovesse essere, però, bisogna adottare un po’ di sportività, accettando il fatto che i formalismi non possono più costituire un valido riparo.