Legittime le soglie penali differenziate per gli omessi versamenti
di Alessandro CarlesimoL’omesso versamento delle imposte configura fattispecie di reato al superamento delle soglie di tolleranza fissate dagli articoli 10-bis e 10-ter, D.Lgs. 74/2000. Le suddette norme sono state rivisitate dal D.Lgs. 158/2015 recante revisione del sistema sanzionatorio, il quale ha innalzato l’importo penalmente rilevante, con riferimento all’omesso versamento dell’Iva, da 50.000 a 250.000 euro e, relativamente all’omesso versamento di ritenute, da 50.000 a 150.000 euro.
L’intervento del Legislatore, preordinato a circoscrivere l’azione penale ai soli illeciti che determinano ammanchi significativi in termini di gettito insoluto, non è passato inosservato poiché ha, di fatto, estinto i reati minori. Tra gli illeciti depenalizzati figurava quello sottoposto all’esame del Tribunale di Varese, chiamato a pronunciarsi nell’ambito di un procedimento penale nei confronti di un contribuente responsabile di aver omesso il versamento dell’Iva risultante dalla dichiarazione annuale relativa al 2012, per complessivi 175.272 euro.
Il Tribunale adito, rilevata la non punibilità della condotta conseguente alla retroattività della riforma (in osservanza dell’abolitio criminis ex articolo 2 c.p.), sospendeva il procedimento e proponeva domanda di pronuncia giudiziale alla Corte di Giustizia Europea, segnalando le potenziali incompatibilità del D.Lgs 158/2015 rispetto ai principi comunitari.
Il Giudice del rinvio sottolineava in particolare che il rinnovato impianto normativo mal si conciliava con i principi di effettività ed equivalenza delle sanzioni sanciti dal Diritto dell’Unione, ciò in quanto:
- da un lato l’innalzamento della soglia prevista per il mancato versamento dell’Iva non avrebbe assicurato sanzioni effettive, dissuasive ed efficaci per il contrasto alle frodi,
- dall’altro, il disallineamento tra le soglie previste per l’Iva e le soglie richiamate per le ritenute avrebbe creato un ingiustificato discrimine tra fattispecie similari.
A parere del collegio dunque, la differenziazione degli importi poteva determinare una non uniformità di repressione dei reati di omesso pagamento dell’Iva ed omesso pagamento delle ritenute alla fonte, con il rischio di affievolire la tutela degli interessi dell’Unione Europea (legati alla riscossione dell’Imposta sul valore aggiunto) rispetto a quella garantita agli interessi dell’Erario (legati alla riscossione delle imposte sul reddito mediante ritenuta).
La Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 2 maggio 2018, C-574/15, ha dichiarato insussistenti le incompatibilità paventate, ritenendo che il Legislatore Italiano, nell’esercizio delle competenze attribuitegli in merito alla scelta del trattamento sanzionatorio dell’Iva, abbia rispettato i vincoli dettati dall’articolo 325 TFUE, il quale impone agli Stati membri di adottare misure necessarie affinché siano previste sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.
Con particolare riguardo al principio di effettività del regime sanzionatorio, viene statuito che il novellato articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000 non ne intacca la validità principalmente per due motivi:
- il primo ascrivibile al fatto che, anche nell’ipotesi di inapplicabilità delle sanzioni penali, gli omessi versamenti al di sotto della soglia non rimarrebbero del tutto impuniti, operando in tal caso il disposto di cui all’articolo 13 D.Lgs. 471/1997, in forza del quale troverebbero applicazione le sanzioni amministrative pari al trenta per cento del tributo non pagato;
- il secondo motivo viene ricondotto al fatto che, in presenza di omessi versamenti dell’Iva, non risulta necessario prevedere una soglia sensibilmente bassa, non essendo il reato in oggetto equiparabile alle frodi gravi (per le quali invece l’articolo 2 della Convenzione TIF impone soglia pari ad almeno € 50.000), posto che il perfezionamento della fattispecie presuppone comunque che il soggetto passivo abbia debitamente adempiuto ai propri obblighi dichiarativi.
Con riferimento al principio di equivalenza, il Giudice Europeo ha avuto premura di specificare che tale postulato è rispettato in tutti i casi in cui le “violazioni del diritto dell’Unione, ivi comprese le norme armonizzate derivanti dalla direttiva Iva, siano punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza”.
In altre parole, il principio evocato implica che le irregolarità in materia Iva non possono essere sanzionate con minor rigore rispetto ad altre violazioni assimilabili. Al proposito, la sentenza ha stabilito che l’omesso versamento delle ritenute alla fonte non può essere considerato una violazione del diritto nazionale simile per natura ed importanza all’omesso versamento dell’Iva dichiarata, ciò in quanto, sebbene le due fattispecie siano accomunate dall’inosservanza dell’obbligo di pagamento dei tributi entro termini prescritti dalla Legge, le medesime si differenziano per meccanismo di riscossione e per grado di accertabilità della violazione, tant’è che “ l’omissione da parte di un sostituto d’imposta di ritrasferire all’amministrazione tributaria le ritenute alla fonte operate può, a causa del rilascio della summenzionata certificazione, risultare più difficile da accertare dell’omesso versamento dell’Iva dichiarata”, pertanto, “tali differenze comportano segnatamente che lo Stato membro interessato non è tenuto a prevedere un regime identico per entrambe queste categorie”.
Alla luce di tale interpretazione, i principi comunitari non impediscono quindi allo Stato Membro di individuare livelli di tolleranza differenziati per i reati aventi ad oggetto omissione di imposte strutturalmente diverse in ordine alle modalità di accertamento e riscossione.